L'Indice delle liberalizzazioni realizzato dall'IBL dipinge - utilizzando anche una metodologia di carattere quantitativo - un Paese a metà del guado: che non assomiglia più all'Italia integralmente statizzata nei servizi pubblici e in larga parte della vita economica di tre decenni fa, ma che è ancora ben lontana dall'aver sposato una prospettiva integralmente liberale.
Ma siamo a metà del guado anche in un altro, e più importante, senso.
Il consenso crescente sull'esigenza di liberalizzare l'economia italiana (un consenso autentico, diffuso nelle varie categorie, ormai ben percepito anche da ampi settori del mondo politico) continua ad essere viziato dall'idea che liberalizzare sia importante ma soprattutto per "favorire i consumatori".
L'azione dell'Antitrust ma, più in generale, lo stesso senso comune interpretato dai media vedono insomma nelle liberalizzazioni uno strumento che aiuta David contro Golia, e che quindi può anche imporre l'abolizione dei costi di ricarica delle schede telefoniche o impedire contratti di esclusiva tra imprese assicurative e agenti. Si tratta di liberalizzazioni? Per nulla: ma di azioni demagogiche (e sbagliate) che vengono presentate come legittime perché toglierebbero ai forti per dare ai deboli.
Per certi aspetti, in questa rappresentazione delle liberalizzazioni (ben presente anche nei decreti Bersani) è come se le vecchie logiche del conflitto di classe tra operai e imprenditori fossero oggi riscritte lungo l'opposizione tra consumatori e produttori.
Ovviamente si tratta di un'impostazione inaccettabile, e non solo perché il diritto non può mai sposare un gruppo contro un altro, né è moralmente difendibile una visione della società che si basi su una contrapposizione preconcetta tra quanti producono e quanti consumano.
Sarebbe invece importante che si affermasse la convinzione che tutti noi siamo, al tempo stesso, produttori e consumatori, e che un ambiente giuridico più aperto e liberale ci favorisce in entrambe le nostre attività.
Ancor più importante, però, è che si imponga l'idea che liberalizzare è necessario per restituire piena libertà d'azione a chi vuole intraprendere. Dobbiamo tutti iniziare valorizzare l'imprenditore che è in noi, fino ad oggi soffocato dalle burocrazie pubbliche e dalle bardature corporative.
Se va difesa (certamente!) la libertà del consumatore che vuole spedire lettere o acquistare elettricità rivolgendosi a un piccolo produttore privato italiano oppure a una grossa multinazionale inglese (e non già dovendo dipendere dal solito inefficiente monopolista di Stato), ancor più urgente è che si comprenda l'urgenza morale di riforme che ridiano autonomia a quanti vogliono darsi da fare per "servire il popolo".
Non è uno slogan maoista: è la natura del mercato. Che è liberalizzato o non è.
Nessun commento:
Posta un commento