domenica 22 luglio 2007

Letta, il Pd e le le liberalizzazioni

Il Corriere della sera, con un lungo articolo di Aldo Cazzullo, annuncia oggi la discesa in campo di Enrico Letta, per le primarie del Pd.
Che c'entra con le liberalizzazioni, di cui si parla su questo sito?
Le questioni di quadro politico sono ovviamente fondamentali, anche per le singole policies che in quel quadro vanno poi a situarsi. E Letta, poi, è l'alter ego di Pierluigi Bersani, insieme hanno fatto un "Viaggio nell'economia italiana", Letta fa parte di quel non ristretto gruppo di "forever young" che in un'Italia gerontocratica pretendono che il solo fatto di non avere i capelli grigi valga loro come patente di outsider, Letta parla al Nord (di recente ha fatto tappa in Veneto, anche a Verona per la prima del "Nabucco", riverito eppure distante dai caporioni leghisti che presidiavano il palco d'onore), è uomo vicino al mondo dell'impresa, insomma dovrebbe incarnare il volto riformista e moderno della sinistra e del Pd.
Del resto, su tutte le grandi questioni economiche la risposta di Walter Veltroni, per ora, è il non dire. Il suo discorso di Torino è stato ecumenico e liscio, per piacere a tutti bisogna dosare le pause.
Letta intervistato da Cazzullo, al contrario, posizioni ne prende. Una impolitica ma simbolicamente fortissima: la rivalutazione degli anni Ottanta, "anni straordinari", "la formazione di chi era ragazzo allora è stata forse più equilibrata di quella della generazione precedenti". Giusto. Solo che di lì a poche righe, Letta parla di un avvicinamento alla politica "dopo la crisi delle ideologie", fingendo che gli anni Ottanta non siano stati sì quelli del tracollo di un'ideologia, ma anche quelli dell'evidente vittoria storica del modello capitalista, che ebbe la ventura di trovare, finalmente, due facce politiche adeguate a rappresentarlo: Thatcher e Reagan.
Ancora, Letta gioca di sponda col partito "dei giovani", parla di innalzamento dell'età pensionabile, poi però plaude all'accordo spuntato da Prodi coi sindacati.
Soprattutto, però, non nell'articolo ma nelle cose non si può ignorare un dato di sostanza: il Letta che ora si presenta come uomo degli imprenditori (indicati come "caldeggiatori" della sua candidatura), è lo stesso che in un anno e rotti di governo non ha mai fiatato quando l'impresa e la concorrenza venivano cannoneggiati.
Il suo nome è legato solo ad un provvedimento, che dal punto di vista del mercato ha luci ed ombre: il progetto di riordino delle authorities. Il suo gemello emiliano Bersani vanta un operato discutibile, ma qualcosa di tangibilmente coerente con il suo profilo elettoral-intellettuale almeno l'ha fatto.
Il giovane Letta è al fianco di Prodi come un centurione, come lo zio era stato con Silvio Berlusconi. La sua candidatura ha oggettivamente il merito di spezzare l'ipocrisia del ticket Veltroni-Franceschini (ma ci aveva già pensato la Bindi). Ma, nel merito delle cose, vale la pena chiedersi se è davvero peggio - per quanti coltivano la speranza di un Pd non chiuso ai valori del mercati - l'anguillesca ambiguità veltroniana, della comprovata indifferenza lettiana.

P.S.: L'autore di questo post non ha la benché minima intenzione di votare alle primarie del partito democratico.

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