Una delle malattie del discorso pubblico in questo paese è il frequente utilizzo improprio del linguaggio: le categorie di privatizzazione e liberalizzazione non sfuggono a tale regolarità, e vengono assai spesso - in modo più o meno consapevole - confuse e sovrapposte.
Un esempio assai utile ad indagare la distinzione è quello di Telecom Italia. Appare infatti evidente che il decennio trascorso dalla privatizzazione non abbia condotto ai risultati auspicati in termini di concorrenzialità e di beneficio per i consumatori. Ma quali considerazioni è lecito trarre da ciò? Si tratta forse di una conferma della bontà dei monopoli pubblici?
Tutt'altro. Siamo, piuttosto, di fronte all'evidenza che limitarsi a trasferire in mani private (e per solito amiche) i privilegi del pubblico non può certo considerarsi un avanzamento del mercato. La privatizzazione che non sia accompagnata da una genuina liberalizzazione è destinata a rimanere uno specchietto per le allodole; quando non diventi, invece, un boomerang - rinforzando la vulgata della necessità dell'interventismo.
Perché le privatizzazioni abbiano successo, viceversa, non è possibile prescindere dalla creazione di un ambiente istituzionale favorevole alla libertà d'impresa e dall'abbattimento delle barriere legali che ne ostacolino l'esplicazione: il che è chiaramente possibile, come testimonia il caso British Telecom, ma ancora di là da venire in Italia, come apparirà chiaro a chi sfoglierà il nostro Indice delle Liberalizzazioni.
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