mercoledì 31 ottobre 2007

Editoria & Poste: è meritorio il messaggio o il medium?

Come è stato ricordato da Rosamaria Bitetti in questo blog, l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha segnalato due settimane fa al governo il carattere anticoncorrenziale della disciplina vigente in materia di agevolazioni per l’editoria la quale prevede, in un segmento del mercato legalmente aperto alla concorrenza, tariffe postali scontate applicate sotto forma di contributi statali destinati esclusivamente a favore di Poste Italiane. Accedono storicamente al regime agevolato, oltre ai prodotti editoriali, anche le associazioni ed organizzazioni senza fini di lucro e gli invii propagandistici dei candidati alle elezioni.
Riflettendo su questo tema una domanda sorge spontanea: se i prodotti editoriali sono meritori, perché lo stato impone tariffe agevolate alle Poste che li recapitano ma non prezzi scontati alle tipografie che li stampano e margini ridotti agli edicolanti che ne distribuiscono la maggior quantità? E’ meritorio il messaggio o solo lo specifico medium distributivo? Se le attività del settore no profit sono meritorie, perché lo stato impone tariffe agevolate per i loro invii postali e non prezzi scontati quando si approvvigionano di altri beni e servizi assai più essenziali per la loro attività? La risposta è ovvia: gli altri fornitori fanno parte, nei due esempi, del mercato ed è il mercato che regola i loro prezzi; i servizi postali no: di stato pur sempre si tratta e quindi è legittimo derogare dalle leggi di mercato e chiedere/concedere prezzi politici.
Il problema delle tariffe postali agevolate in Italia nasce dal fatto che nessuno, neppure gli editori più liberali, crede (ancora) al mercato dei servizi postali e all’idea che Poste Italiane debba essere una normale azienda di mercato. Se fosse vero il contrario, nessuno oserebbe più chiedere tariffe politiche. Come fare per ribaltare la convinzione? E’ semplice: liberalizzare il mercato postale e privatizzare il recapito di Poste Italiane. Una grande riforma come questa, opponendo le regole del mercato alle richieste delle categorie interessate, renderebbe superflua l’esigenza di fare la piccola riforma delle tariffe agevolate per l’editoria.

lunedì 22 ottobre 2007

sabato 20 ottobre 2007

Antitrust: basta girare a Poste Italiane i sussidi per l'editoria

L'Autorità garante per la concorrenza ed il mercato sta svolgendo un' indagine conoscitiva sul mezzi d'informazione della stampa quotidiana, periodica e multimediale. A conclusione della prima parte dell'indagine, a luglio, ha sottolineato come il sistema degli incentivi, così come la regolamentazione del settore, siano altamente distorsivi del mercato. Oggi, bacchetta il tentativo di far passare in finanziaria un altro rinnovo del regime a sostegno all'editoria e ai settori no-profit. Nel comunicato stampa odierno «l'Autorità ricorda che a Poste Italiane viene riconosciuta annualmente una compensazione per le tariffe postali scontate applicate alle spedizioni di prodotti editoriali eper il settore no-profit. Si tratta di un meccanismo che determina un'evidente e grave distorsione concorrenziale: operatori postali diversi da Poste Italiane non sono infatti in grado di praticare offerte competitive agli editori e agli enti no-profit per questo tipodi prestazione. Attraverso la normativa vigente, si è quindi sottratto di fatto al mercato uno spazio di attività che di diritto sarebbe liberalizzato». Ovviamente, chi crede nel mercato pensa che ogni forma di sussidio qualsiasi attività, per quanto meritevole, non sia né benefica né necessaria. Ma trasformare un agevolazione all'editoria in un sussidio ad un'impresa ancora, ricordiamolo, parzialmente pubblica, è doppiamente scorretto, in un mercato che attraversa una difficoltosa liberalizzazione. Meglio sarebbe, se pure, assegnare direttamente gli aiuti agli editori ed agli enti no-profit, e permettergli di spenderli con un operatore postale a loro scelta…

Celebrazioni: un augurio ed un addio

Una piccola digressione dai temi abituali del blog, ma per un buon motivo: si chiude una settimana intensa per chi ama il mercato, con due notizie su tutte da celebrare. La bella è che il Ludwig von Mises Institute ha appena festeggiato i suoi primi 25 anni con un grande evento a New York, dove la seconda vita americana della Scuola Austriaca ha avuto inizio. Al Mises Institute molti di noi devono una parte importante della propria formazione, e tutti noi dobbiamo questo incredibile monumento (telematico) alla libertà. Tanti auguri e cento di questi anni!

La brutta notizia avrebbe dovuto rimanere segreta ancora per un po', ma sta invece già scuotendo la blogosfera libertaria: dopo trentasei anni di meritoria attività, sta per chiudere i battenti Laissez Faire Books, un'autentica istituzione più che una semplice libreria, oramai impossibilitata a competere con i prezzi ed i servizi di Amazon. Come ha osservato la responsabile Kathleen Nelson nel dare l'annuncio, il mercato ha probabilmente detto la sua. A suo modo, una bella lezione di quel che davvero significa concorrenza.

UPDATE Pare che qualche organizzazione si stia muovendo per riuscire a mantenere online almeno le preziosissime recensioni di Roy Childs. Non sarebbe una magra consolazione.

mercoledì 17 ottobre 2007

Lavoce.info sul caso Microsoft

Lavoce.info ha pubblicato un utile contributo di Vincenzo Denicolò sulla sostanziale obliterazione, da parte del tribunale di prima istanza, della decisione della Commissione europea su Microsoft. E' un tema del quale ci siamo occupati sia su questo blog, sia altrove, e non è il caso di ritornare sugli argomenti che all'Istituto Bruno Leoni ci paiono sensati e ragionevoli - e che invece non godono di molta fortuna, in sede europea.
L'articolo di Denicolò parte da premesse diverse da quelle di chi ha difeso Microsoft leggendo le teorie della concorrenza come se fossero, fondamentalmente, "teorie della giustizia" (ovvero pensando che in una certa misura vi sia una "teoria del titolo valido" che si applica anche alle quote di mercato - scusate la rozzezza dell'approssimazione). Tuttavia, sostiene che "la tutela della concorrenza e della proprietà intellettuale hanno, o dovrebbero avere, lo stesso obiettivo: garantire agli innovatori un livello di remunerazione appropriato a stimolare l’attività innovativa senza però escludere i consumatori dai benefici delle innovazioni". Se questo è per Denicolò l'orizzonte ideale, basandosi su una valutazione di ciò che è stato fatto nel caso Microsoft egli arriva in fretta a stilare la lista dei prossimi bersagli nel mirino della Commissione europea: "È facile stilare l’elenco dei prossimi possibili bersagli: Apple, Ibm, Qualcomm, Intel. Un elenco che ricalca pericolosamente quello delle imprese più innovative nei rispettivi settori".
Nel caso di Qualcomm (l'indagine è aperta), l’UE parla di abuso di posizione dominante perché Qualcomm chiederebbe troppe royalty per l’utilizzo del suo brevetto. E' interessante scorrere la lista delle imprese che hanno sollecitato l’indagine: vi si trovano quattro clienti di Qualcomm, fabbricanti di telefonini, e due competitori di Qualcomm, nel mercato dei chip. Il parallelo con il caso Microsoft ("mosso" da concorrenti che cercavano rivalsa) è evidente.
Oltre all'articolo di Denicolò, sono interessanti i commenti dei lettori (lo sono sempre, a dire il vero, su Lavoce). Gli argomenti dell'autore non sono stati ben ricevuti. E da più parti si vanta la migliore qualità del software libero.
Non so se sia un fenomeno prettamente italiano, ma è surreale che anche una questione complessa come questa venga ridotta a derby di calcio: la squadra del software libero contro la squadra del software proprietario, i piccoli developers contro le grandi multinazionali. In realtà i due fenomeni coesistono senza grossi problemi. Come ha ricordato Richard Epstein, tutti i sistemi di tutela della proprietà intellettuale sono composti di un mix di commons e diritti di proprietà invece stringentemente regolati. Parlando di Microsoft a Bruxelles, poi, si arriva molto vicino a discutere di segreti industriali, che reggono (reggerebbero) anche in assenza di un sistema (gestito dagli Stati) di tutela di diritti di sfruttamento monopolistico delle innovazioni.
Non c'è nulla di facile in questi problemi, e strizzarli in un post è di per sè riduttivo. Ma a leggere certi commenti sembra quasi che il fatto che Explorer sia inserito in Windows leda la libertà degli utenti di scaricarsi Firefox. Da utente Apple che scrive questo blog in una tag di "Camino", vi assicuro che non è così.
Le questioni che pone Denicolò sono molto più appropriate. Non mettono piede sul terreno della giustificazione delle teorie della concorrenza (anche se l'autore offre una prospettiva interessante, sull'intersezione di tutela della competizione e regimi di proprietà intellettuale). Ma cercano di soppesare le concorrenze dell'approccio di Bruxelles. E' vero o non è vero che le imprese che fanno innovazione sono disincentivate dal continuare a farla, nel nostro continente, dal momento che chi sul mercato arranca può rifarsi per via "europea"?
E' questa la domanda a cui rispondere. E non basta a salvarci la coscienza aggrapparci all'idea romantica per cui l'innovazione si consuma spesso e volentieri in aziende piccole, sul piano dimensionale. Perché in discussione non è il loro diritto di essere e restare piccole - e lo è solo in parte il loro diritto di provare a crescere. Il vero diritto che è in discussione è la libertà dei consumatori, di confrontarsi con una offerta che non sia manipolata politicamente.

martedì 16 ottobre 2007

Un (altro) Nobel a Hayek?

Su epistemes.org un articolo molto chiaro sul Nobel a Hurwicz, Maskin e Myerson. Sul tema, c'è anche un bel commento di Pete Boettke sul Wall Street Journal. La parte centrale dell'argomento di Boettke è la seguente:

Mechanism design theory was established to try to address the main challenge posed by Ludwig von Mises and F.A. Hayek. It all starts with Mr. Hurwicz's response to Hayek's famous paper, "The Use of Knowledge in Society." In the 1930s and '40s, Hayek was embroiled in the "socialist calculation debate." (...)

Hayek's argument, a refinement of Mises, basically stated that the economic problem society faced was not how to allocate given resources, but rather how to mobilize and utilize the knowledge dispersed throughout the economy.

Hayek argued that mathematical modeling, which relied on a set of given assumptions, had obscured the fundamental problem. These questions were not being probed since they were assumed away in the mathematical models of market socialism presented by Oskar Lange and, later, Abba Lerner. Milton Friedman, when he reviewed Lerner's "Economics of Control," stated that it was as if economic analysis of policy was being conducted in a vacuum. Lange actually argued that questions of bureaucratic incentives did not belong in economics and were best left to other disciplines such as psychology and sociology.

Leonid Hurwicz, in his classic papers "On the Concept and Possibility of Informational Decentralization" (1969), "On Informationally Decentralized Systems" (1972), and "The Design of Mechanisms for Resource Allocation" (1973), embraced Hayek's challenge. He developed mechanism-design theory to test the logic of the Mises-Hayek contention that socialism could not possibly mobilize the dispersed knowledge in society in a way that would permit rational economic calculation for the alternative uses of scarce resources. Mises and Hayek argued that replacing the invisible hand of the market with the guided one of government would not work. Mr. Hurwicz wanted to see if they were right, and under what conditions one could say they were wrong.


Sul suo blog, Pete torna sul tema come storico del pensiero economico, e sottolinea come anche questo Premio Nobel confermi un fatto caro agli economisti 'austriaci', ovvero l'influenza di Hayek sul pensiero economico e politico del secondo Novecento:
Hayek has received more citations from Nobel Prize winners as either (a) the reason they did research along the path that was recognized, or (b) that in the later years they have come to appreciate his questions and analysis more than any other economist, than any other Nobel Prize winner. His work has proved fundamental to not only Buchanan, Coase, North, and Smith, but also Lucas, Phelps, and Stiglitz. Add Hurwicz to that list, and don't forget Koopmans from 1975.

sabato 13 ottobre 2007

Vedi alla voce Accountability

Pare che alle Ferrovie abbiano acquistato un orologio al plutonio per misurare i ritardi dei treni ex post. Fonti interne all'azienda informano che stanno valutando l'acquisto di una vecchia pendola scassata per prevenirli, i ritardi, almeno due volte al giorno.


(Cliccare per ingrandire l'immagine)

L’ Italianità delle imprese di trasporto

Lo scorso 10 ottobre, a Roma, è stata organizzata la prima assemblea di Trasporto Amico. L’iniziativa è molto importante poiché finalmente si vuole fare pressione per fare sistema nel settore dei trasporti in Italia. Troppe volte la visione in questo settore così importante per l’economia, è stata parziale. La necessità di recuperare il tempo perduto nei passati decenni nelle opere infrastrutturali ed in generale nei trasporti è stata sottolineata dai promotori di questo convegno.
L’intervento del Prof. Arrigo (CRIET – Università Milano Bicocca) ha messo in luce i diversi punti di debolezza nel trasporto italiano. Il lavoro svolto insieme al prof. Beccarello (Università Milano Bicocca) mostra come il ritardo sia riscontrabile in quasi tutti i settori considerati.
Lo sviluppo dei trasporti è stato quasi nullo in quei settori dove non è presente la concorrenza, mentre si nota una crescita importante in quei settori dove il mercato è stato aperto a nuovi player italiani e stranieri.
Vorrei sottolineare la non importanza della nazionalità del player entrante o già presente sul mercato, in quanto un operatore economico, straniero o non, ha tutto l’interesse di sviluppare il proprio business.
Alcuni interventi politici hanno sottolineato invece la necessità di un operatore italiano di notevoli dimensioni nel campo logistico. Il caso del trasporto aereo è l’esempio che mette in crisi questa visione e voglia di italianità.
Tutti noi conosciamo il maggiore operatore aereo italiano: Alitalia. Non gode di ottima salute, lo stato della compagnia è definito “comatoso” dallo stesso amministratore delegato. Non ha saputo inoltre sviluppare il mercato aereo in Italia. Come mostrato da altri lavori dell’Istituto Bruno Leoni (IBL – Briefing Paper N°43), il mercato aereo italiano si è sviluppato grazie alla liberalizzazione europea, con un raddoppio del numero di passeggeri internazionali dell’Unione Europea in un periodo relativamente breve (10 anni).
L’italianità sembra quindi una necessità politica, per poter mantenere potere di decisione e di influenza, mentre il mercato si sviluppa e il cittadino consumatore trae benefici.
L’italianità dunque sembra essere non solo non necessaria, ma alquanto fuori luogo. Vogliamo davvero che in tutto il settore dei trasporti esistano dei grandi player italiani che non sappiano reggere il peso della concorrenza internazionale?
Non sarebbe meglio forse che invece di difendere l’italianità, i politici si adoperassero per un mercato più competitivo che faccia nascere e crescere player italiani e non, giudicati dalle regole del mercato e non dalla propria carta d’identità?

venerdì 12 ottobre 2007

Va bene chiunque purché non sia italiano

Forse non è un tipo molto elegante, ma le dichiarazioni dell'amministratore delegato di Ryan Air Michael O'Leary, su Alitalia, sarebbero da incorniciare.
O'Leary non solo ribadisce di non essere per nulla interessato all'acquisto della nostra compagnia di bandiera (è persino strano che un giornalista gli abbia chiesto di un loro eventuale interesse, visto che il business model è radicalmente diverso), ma spiega che l'ideale è che Alitalia finisca in mani "non italiane". Razzismo? Sfiducia nell'italico talento per il business dei cieli?
No, sano pragmatismo. O'Leary suggerisce che il compratore migliore sarebbe il fondo Tpg, che ha una buona esperienza nel rilancio di vettori in traballante salute. Ma sa bene che la cosa importante - per la concorrenza, ma anche per noi contribuenti/consumatori - è che il compratore non benefici di aiuti da parte del governo, per non doverlo poi ripagare con la stessa moneta, finendo per generare ulteriori inefficienze. Per questo motivo, meglio uno straniero: uno che stia alla periferia del nostro "capitalismo relazionale", pensi a fare profitti servendo bene i suoi clienti. Meno un imprenditore sa orientarsi a Roma, insomma, e meglio è. Purtroppo, è probabile che i criteri di competenza geografica che verranno fatti valere siano esattamente quelli contrari...