giovedì 31 luglio 2008

Mercato contro Stato, O’Leary contro Governo

Che Michael O’Leary sia il naturale candidato alla guida del Partito Democratico (al posto di un cotto Veltroni) ce lo ha già fatto notare Ugo Arrigo.

Oggi, invece, scopriamo la strategia dell’a.d. di Ryanair per conquistare il prestigioso incarico politico: un sì convinto al mercato ma anche una strizzatina d'occhio ai girotondini, ai quali regala la sua critica all'uso del jet privato da parte del primo ministro italiano.
MILANO - Niente scuse. La multa subita dall'Antitrust e gli attacchi della maggioranza di governo non bastano a fermarlo. Lo slogan proposto da Silvio Berlusconi per rilanciare la compagnia di bandiera italiana «amo l'Italia, volo Alitalia» dovrebbe essere riproposto come «amo l'Italia ma volo sui jet privati»: è quello che sostiene l'amministratore delegato della compagnia low cost irlandese, Ryanair, Michael O'Leary. Questi, nel corso della presentazione di sette nuove rotte della sua compagnia trasferite dall'aeroporto di Forlì a quello di Bologna, ha ironizzato sulle recenti dichiarazioni del capo del governo. «Berlusconi dovrebbe smettere - ha detto O'Leary - di dire questi slogan. Dovrebbe, quindi, o volare con Alitalia o, se veramente ama l'Italia, trovare una soluzione per sistemare la
situazione».

A differenza di O’Leary, noi non nutriamo dubbio alcuno sull’amor patrio del Cavaliere e non abbiamo affatto da ridire sulla flotta aerea berlusconiana. Ciò che a noi preme è che Berlusconi non permetta al nuovo Pd o’learyiano di scavalcarlo in tema di liberismo. Insomma, compito per le vacanze per il Presidente: riscoprire le virtù di quella cosa che usavamo chiamare mercato. Tremonti permettendo.

mercoledì 30 luglio 2008

Cuil: una storia di mercato

Si fa un gran parlare in questi giorni del nuovo motore di ricerca Cuil, creato da alcuni fuoriusciti di Google con la manifesta intenzione di dare filo da torcere al colosso di Mountain View.

Certamente si tratta di un prodotto ancora lontano dalla maturità ed i suoi sviluppatori dovranno lavorare con impegno su algoritmo ed indicizzazione. Anche le celebrate innovazioni dell'interfaccia, che dispone i risultati su colonne e li correda di categorie di occorrenze affini, pur rappresentando un eccellente punto di partenza, necessitano di una ritoccatina - per dire: se cercate l'Istituto Bruno Leoni, vi troverete affiancati i membri del PLI e, scrollando un po', persino quelli della Democrazia Cristiana.

Secondo diversi analisti, sarebbe la politica della privacy il vero vantaggio competitivo di Cuil. A differenza dei concorrenti, a cominciare da Google, il motore di ricerca dichiara, infatti:

[...] when you search with Cuil, we do not collect any personally identifiable information, period. We have no idea who sends queries [...] Your search history is your business, not ours.
Non è la scelta di per sé a meritare attenzione, quando il fatto che il mercato permetta ai due approcci alternativi di coesistere: garantendo soddisfazione sia all'utente che voglia rinunciare ad un po' di segretezza in cambio di servizi personalizzati, sia a quello che ritenga il trade-off inaccettabile. Un altro punto significativo del privacy statement, mi pare, è la procedura di risoluzione di eventuali controversie.
We will do our best to address your concerns. If you feel that your complaint has been addressed incompletely, we invite you to let us know for further investigation. If we and you are unable to reach a resolution, we will settle the dispute exclusively under the rules of the American Arbitration Association (www.adr.org).
La grande domanda connessa alla creazione di Cuil è: esiste una lontana possibilità che il nuovo nato riesca a soppiantare Google? Più in generale, è ragionevole entrare nel mercato dei motori di ricerca al tempo di Google? La risposta che si è dato Stefano Quintarelli, osservatore sempre acuto, è desolante:

Certo, ci fosse un cambiamento regolamentare che imponesse la separazione tra raccolta e presentazione della pubblicita', tipo sentenza tetrapak antitrust, per capirci, i giochi si potrebbero riaprire, ma cosi' come siamo, e' altamente improbabile.

Si tratta, però, di una risponta sostanzialmente sbagliata. In primo luogo, la storia della concorrenza è una storia di avvicendamenti "altamente improbabili". Questo è tanto più vero nei settori a più alto contenuto tecnologico (si pensi ad IBM/Microsoft) ed un esempio lampante di tale dinamica è proprio Google, che non è certo nato "monopolista", ma ha saputo rivoluzionare il mercato dei motori di ricerca. (Per informazioni, chiedere a Yahoo! e, soprattutto, ad Altavista.)

In secondo luogo, Quintarelli appare afflitto dal tic del separatore, un morbo in rapida ascesa. Sebbene all'IBL abbiamo dedicato - e non da ieri - grande attenzione al tema della separazione delle reti, in particolare nel campo delle TLC, crediamo anche che non si tratti di una panacea per tutti mali del mondo e che - permanendo alcuni ingenti effetti collaterali - se ne debba fare un uso molto accorto.

In particolare, la separazione non dovrebbe essere vista come uno strumento per orientare lo sviluppo di un dato settore ed individuare l'opportuno livello di integrazione dei servizi - questa è, del resto, la funzione sistematica della concorrenza - ma come un'opportunità di rettificare le situazioni in qui quest'integrazione ha avuto luogo forzosamente sotto l'egida del monopolio pubblico.

Infine, dalle osservazioni di Quintarelli traspare la convinzione che soltanto l'improbabile sorpasso su Google possa fare di Cuil un'operazione di successo. Sebbene ciò potrebbe (forse) essere vero dal punto di vista dei creatori del nuovo motore di ricerca, non è certo altrettanto vero per gli altri operatori del mercato, ai quali è del tutto indifferente se chi ne soddisfa le esigenze si chiami Toni o Piero.

La lezione della vicenda Cuil è insomma che la creatività dei concorrenti - e persino di quelli potenziali che ancora non hanno trovato il modo di fare le stesse cose meglio od a prezzi inferiori - impedisce a Google (come ad ogni altro "monopolista di mercato") di dormire sonni tranquilli e gli ingiunge di migliorarsi in continuazione. Questo, del resto, è esattamente il motivo per cui nella partita della concorrenza vincono tutti, o quasi, e certamente vincono i consumatori.

+++ Doha Rip

Questa volta il crollo è davvero sonoro. Ma il Doha Round non è fallito ieri, con la sospensione delle trattative dovuta - questa volta - alla resistenza di Cina e India. L'inizio della fine era stato al ministeriale di Cancun, nel 2003; i negoziati multilaterali erano entrati in coma nel 2005, a Hong Kong. Il resto, speranze e timori inclusi, è stato inutile tentativo di scongiurare l'inevitabile. Ci troviamo, oggi, in un mondo più tremontiano. Con tutti i suoi limiti, la Wto era riuscita a incarnare la tensione (contraddittoria quanto si vuole) verso la globalizzazione. Adesso siamo, davvero, al riflusso, al momento in cui le rugginose organizzazioni internazionali prendono atto di un cambiamento dell'opinione pubblica. L'arrocco di Pechino sulle clausole di salvaguardia può essere la causa materiale del fallimento: ma esso è stato causato anzitutto dal fastidio con cui gli Stati Uniti e soprattutto l'Europa (che ha responsabilità ancora maggiori) hanno vissuto i negoziati. Certo, nel frattempo sono stati conclusi tanti bilaterali, e altri verranno. Però il quadro multilaterale forniva una cornice infinitamente più efficace e positiva. In un certo senso, oggi torniamo al 1994. Con la differenza che allora le speranze le avevamo davanti agli occhi, adesso le abbiamo dietro la schiena.

PS Giuste osservazioni di Paul Krugman.

martedì 29 luglio 2008

DG Fotografo

A quanto pare il compagno Mingardi si sta preparando alla ricerca di un nuovo mestiere...


(Fotografia davanti alle poste centrali di Milano, mattina del 29 luglio 2008)

Mala tempora currunt...

... e tremontianamente avanzano, come ci riportano Scrapplaface prima e Greg Mankiw poi...



July, 28 - Democrats in Congress today plan to introduce a bill to halt the recently-announced closing of some 600 Starbucks coffee stores, noting that the displacement of 12,000 Starbucks baristas would overwhelm government aid offices not prepared to handle so many clients for whom English is a second language.
Baristas, those who serve Starbucks beverages, speak a peculiar dialect that combines pseudo-Italian and American slang with inflections borrowed from ancient hemp-smoking cultures.
“These people can’t just walk out of Starbucks and get a job at a grocery store or a factory,” said House Majority Leader Nancy Pelosi, D-CA. “They would need ESL classes and cultural training to learn how to relate to ordinary Americans and function in society.”
Rep. Pelosi’s bill would subsidize the 600 money-losing Starbucks locations by giving away millions of taxpayer dollars in so-called ‘Venti Vouchers’ to residents of these hard-hit neighborhoods. If the effort fails to revive the flagging stores, Rep. Pelosi said Democrats would “seriously consider nationalizing the coffee industry to ensure the free flow of java at fair prices.”
“This is just another one of our heroic Democrat efforts to protect Americans from the impact of the Bush economic policies,” said Rep. Pelosi. “Under this president, America has become a cold and desolate place where corporations cut unprofitable activities to focus on increasing the bottom line, and returning value to shareholders. When Democrats retake the White House next year, we will reverse that trend.”

Italia in Europa (Dizionario dell'Italia)



Italia in Euro-pa. Come Peter Sellers in Holly-wood Party.

P.S.: Il compianto Sellers-Strangelove sarebbe stato peraltro un ottimo interprete del nostro Ministro dell'Economia.










domenica 27 luglio 2008

Quattro domande al volo sul piano Fenice

Vi sono diversi aspetti che non convincono nel piano Intesa per Alitalia, almeno nella parte di piano che è trapelata attraverso i media. I principali sono a mio avviso i seguenti:

  1. Perchè commissariare l'azienda (e scinderla in due, quella buona e quella cattiva)? Alitalia è un caso molto diverso rispetto a Parmalat (e simili): il patrimonio netto di Parmalat al momento dell'emersione dello stato di dissesto era pesantemente negativo; l'ammontare dei debiti risultava superiore a quello degli asset patrimoniali ed essi non erano in grado di garantire il rimborso ai creditori. Quando si verifica un caso di questo tipo il dissesto patrimoniale è grado di affossare anche l'attività industriale dell'azienda poichè essa non potrà avvalersi di nuovi finanziamenti e i creditori premeranno affinchè i beni capitali, necessari alla produzione, siano invece ceduti per rimborsare i debiti. Poco importa che la gestione industriale sia sana e in grado di vendere sul mercato il prodotto a un prezzo remunerativo rispetto ai costi unitari di produzione. In questi casi vi sono due strade: (i) quella del fallimento, procedura nella quale l'attività produttiva viene interrotta e gli asset ceduti non più 'funzionanti' al fine di rimborsare pro quota i creditori; (ii) quella regolata dai provvedimenti che prendono il nome di Prodi e Marzano: l'attività produttiva viene salvaguardata dalle 'pretese' dei creditori e, in genere, l'azienda produttiva è ceduta funzionante sul mercato dal commissario mentre i proventi ricavati sono utilizzati per rimborsare i creditori della società preesistente che è posta in liquidazione. Nel caso Alitalia il patrimonio netto è positivo: a fine 2007 ammontava a 381 milioni di euro, valore che si riduce a 166 milioni a fine marzo 2008, dopo aver detratto le perdite del I trimestre (Si noti la prossimità tra tale valore e l'importo offerto proprio a fine marzo da Air France, pari a 135 milioni). Da allora il patrimonio netto è ulteriormente cresciuto per effetto del conferimento bipartisan di 300 milioni e si è ridotto per le perdite del periodo aprile-luglio, che non conosciamo ancora. Poichè il patrimonio netto è positivo il valore degli asset è pienamente in grado di rimborsare i debiti esistenti; perchè dunque commissariare? Per poter cedere l'attività produttiva con più facilità a specifici nuovi investori? Per poterlo fare a prezzi di favore? Al momento attuale solo una cessione degli asset produttivi a prezzi inferiori alla loro valutazione di bilancio porterebbe il patrimonio netto di Alitalia su valori negativi.

  2. Come saranno utilizzati i capitali finanziari che saranno conferiti dai nuovi investitori? Qualora destinati ad acquisire l'attività produttiva di Alitalia senza i debiti non saranno sufficienti per effettuare i nuovi investimenti necessari a rilanciare l'azienda (in primo luogo l'acquisto di aerei più moderni ed efficienti nei consumi); al contrario, qualora finalizzati prioritariamente ai nuovi investimenti, richiederanno di pagare il meno possibile Alitalia e questo è possibile solo assumendo anche i debiti della compagnia. Ma in tal caso cade completamente l'esigenza di scorporare una new company dalla bad company e appare preferibile che i nuovi investitori: (i) acquisiscano il controllo dell'azienda attuale comperando le azioni del Tesoro (come avrebbe fatto Air France); (ii) procedano all'aumento di capitale, conferendo le nuove risorse. In tal modo sarebbe assicurata la continuità aziendale, non si richiederebbero problematici mutamenti legislativi e sarebbero minimizzati i tempi per il passaggio proprietario.

  3. Come si pensa di risolvere l'attuale 'dissesto' reddituale di Alitalia, la sua incapacità di recuperare con i ricavi delle vendite i costi di produzione? Su questo aspetto nulla di preciso è trapelato del piano Fenice; eppure si tratta dell'elemento cruciale chiamato a dimostrare la validità del progetto: la nuova gestione sarà economicamente sostenibile oppure riavremo rapidamente un'Alitalia II anch'essa in perdita? Ciò che si può dire è che, anche se si mandasse a casa un quarto dei dipendenti e si evitasse per intero il loro costo del lavoro, ipotesi comunque irrealistica, si arriverebbe ad un risparmio annuo di 200 milioni di euro, cifra utile al risanamento economico finanziario ma del tutto insufficiente a conseguirlo. Il secondo fattore è legato al maggior potere di mercato del nuovo vettore il quale, contando su un quasi monopolio sulle maggiori rotte nazionali, potrebbe aumentare i prezzi. La strategia non stupisce, essendo l'unica in questi anni adottata dalle Poste e dalle Ferrovie, ma poichè il trasporto aereo a differenza degli altri due mercati è pienamente liberalizzato nell'Unione, ci aspettiamo che qualche antitrust, più probabilmente quella europea, metta dentro il naso. In ogni caso i competitori cercheranno di farlo notare, certamente Mr. O'Leary.

  4. Come si pensano di salvaguardare nei prossimi mesi i requisiti di solidità finanziaria richiesti per mantenere la licenza aeronautica? Le norme italiane richiedono che il vettore disponga delle risorse per pagare i costi dei voli programmati nei successivi tre mesi (negli altri paesi sono richiesti in genere sei mesi). Il problema è che i costi di tre mesi di operatività di Alitalia sono pari, estrapolando dal I trimestre, a 1,2 miliardi e che nelle casse dell'azienda vi è solo una frazione molto ridotta di tale ammontare. Il requisito pertanto non è rispettato. L'ente preposto alla regolazione tecnica e al rilascio-revoca delle licenze, l'Enac, potrebbe chiudere un occhio ma non è razionale che lo facciano anche i clienti Alitalia. Il timore che il volo del quale si sta comperando il biglietto possa non essere effettuato per la crisi del vettore è la spiegazione principale della grossa caduta della domanda che si è verificata all'indomani dell'uscita dalle trattative di Air France: il -24% di passeggeri del bimestre aprile-maggio, ben oltre la riduzione dell'offerta effettuata da Alitalia dopo l'abbandono di Malpensa.

Conclusioni. Se la soluzione Alitalia tarda, le disponibilità finanziarie del vettore sono destinate ad esaurirsi e il rischio di sospensione dei voli ad accrescersi. Con l'aumento di questo rischio i passeggeri saranno orientati in maniera crescente a rivolgersi ad altri vettori, rendendo impossibile la soluzione della crisi poichè dopo i clienti fuggiranno anche gli investitori potenziali. Il progetto di passaggio proprietario deve essere pertanto il più semplice possibile e poiché deve risultare realizzabile in poche settimane non può permettersi di richiedere cambiamenti nel quadro normativo che accrescerebbero tempi e incertezza. Se non risponderà a questi requisiti rischierà di risultare inutile.

venerdì 25 luglio 2008

Alitalia (Dizionario dell'Italia)

Alitalia. Io amo l'Italia, io non volo Alitalia, io pago per Alitalia.

Mercato, je t'aime

Come non provare amore quando accadono cose del genere?
Siamo sicuri che potrà Ryanair ciò che fiume di nostri scritti non potranno mai... far capire agli elettori che il Governo se ne frega dei passeggeri italiani.
Mercato, je t'aime.

http://www.ryanair.com/site/IT/

giovedì 24 luglio 2008

Per limite, il cielo

Oggi sul Sole 24 Ore c'è una lunga intervista di Antonio Catricalà, col sempre ottimo Orazio Carabini. Il Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato dice cose talora condivisibili (sulle tv: "la Rai si può privatizzare e il servizio pubblico mettere a gara"), talora meno condivisibili (no alla separazione di Snam Rete Gas perché "chi la compra? (...) è lecito temere che si facciano avanti mani forti"). Dice anche cose che fanno tremare i polsi.
In particolare:
bisogna verificare che non ci siano fenomeni speculativi dietro l'andamento dei mercati finanziari e delle materie prime. Ciascuno di noi sensibilizzerà le proprie consorelle europee e mondiali. Per quanto riguarda l'Antitrust, del resto, il tema della speculazione è molto vicino a quello dell'intesa collusiva. Il confine è labile e se viene superato noi siamo obbligati a intervenire. 
Nota bene:
Domanda di Carabini: Il cartello più evidente è l'Opec
Risposta di AC: Negli Stati Uniti stanno studiando il problema e anche l'Europa dovrebbe farlo. A esportare petrolio sono delle imprese, non gli Stati. 
Nota mia: E mentre con gli Stati tutto va bene madama la marchesa, le imprese le possiamo mazzuolare!
Nel merito, è vero che l'Antitrust riesce quasi sempre a trovare nei prezzi una ragione d'intervento: se sono bassi, sono "predatori". Se sono tutti uguali, c'è un cartello. Se sono troppo alti, c'è potere di mercato. E' vero che nel tempo si sono anche incastrate queste diverse ipotesi  a giustificare particolare interventi: ad esempio, si sono ipotizzati prezzi predatori come forma di retaliation contro l'impresa "scartellante" che aveva venduto a prezzi inferiori a quelli praticati dal cartello. Si è sostenuto che anche senza un accordo esplicito, momenti di coordinamento fra produttori portassero ad un aumento dei prezzi. Cervellotico e poco persuasivo, ma lo si è detto, scritto, e pensato. 
Ma la speculazione finanziaria, che c'entra con la collusione? Di per sé, nulla - almeno bisognerebbe aver chiaro chi collude. Il cartello c'è ed è dichiarato: l'Opec. Ma che c'entra il cartello con la miriade di operatori finanziari che scommette su prezzi al rialzo? Soprattutto, che vuol fare l'Antitrust italiana? Se il cartello del petrolio esiste, è anche perché le risorse sono concentrate in un certo angolo di mondo, e gestite da un numero limitato di persone i cui interessi sono in certa misura convergenti. Qual è la politica della concorrenza, in questo caso? La guerra all'Iraq?
Notasi che ovviamente, per partire alla volta del cartello dell'Opec Catricalà ipotizza un cartello delle "consorelle": Antitrust di tutto il mondo unitevi.
Al di là dell'insensatezza del ragionamento, ciò che colpisce è la distanza con la liquidazione del tema della separazione della rete del gas. Da una parte, c'è una cosa sulla quale l'Antitrust potrebbe incidere. Dall'altra, una roba che nella migliore delle ipotesi è una chiacchiera in libertà. L'Agcm vuole sconfiggere l'Opec. Benissimo. E la settimana prossima, che mettiamo nel mirino? La fame nel mondo, l'obesità, il fumo passivo, il riscaldamento globale? Ma ovviamente Catricalà, che è un grande comunicatore e un bravissimo politico, si espone proprio su un tema del quale nessuno potrà mai chiedergli conto. Mentre mette la polvere sotto il tappeto, in una questione di concorrenza che un'Autorità benintenzionata farebbe bene a prendere di petto.

mercoledì 23 luglio 2008

Anticipazioni (onerose) dal piano Alitalia

Repubblica di oggi dedica ampio spazio ad alcune anticipazioni dal piano Alitalia, in corso di elaborazione da parte di Intesa. Per Repubblica il piano sarebbe in dirittura d'arrivo e potrebbe essere presentato ad Alitalia e al Ministro del Tesoro ai primi di agosto. Ecco quanto emerge, in sintesi, dalle notizie odierne:
  1. La Stampa riferisce che, secondo Intesa, alle condizioni attuali del mercato, della legislazione e dell'azienda nessun investitore è disponibile a entrare nel capitale. Non ci si poteva attendere nulla di diverso: tre mesi fa il pretendente era uno solo ed è stato cacciato in malo modo; da allora il prezzo del petrolio è schizzato alle stelle e Alitalia ha perso (in aprile e maggio) un milione e ottomila passeggeri, corrispondenti ad un -24% rispetto allo stesso bimestre del 2007. La quota di mercato di Alitalia, calcolata sui passeggeri, è stata in maggio, secondo le stime CRIET-Università Bicocca, solo del 17,3%, il suo minimo storico (era attorno al 23,7% nel IV trimestre 2007).
  2. Cosa si può fare allora? Dato che le condizioni del mercato non le può modificare, per fortuna, né Sant'Intesa né San Tremonti, l'obiettivo è, secondo Repubblica, di agire sul fronte della legislazione e su quello del perimetro aziendale. Nel primo caso si tratterebbe di adattare ad hoc la legge Marzano: "I tecnici legislativi dei ministeri interessati ... pensano a una norma che renda più celere il ricorso all'amministrazione straordinaria evitando il rischio che i debiti (Alitalia ne è oberata) possano trasferirsi sui nuovi soci, compromettendo il progetto di rilancio. Sarà questo un passaggio-chiave perché il successivo commissario nominato dal governo possa cedere ai potenziali offerenti la nuova compagnia". Nel secondo caso si tratta di ritagliare tra gli asset di Alitalia quelli utili alla costruzione di una new company (in particolare marchio, rotte e clientela) che sarà offerta alla cordata di nuovi azionisti. La parte residuale, bad company (con debiti, esuberi e attività in perdita) rimarrà a carico, in un modo o nell'altro del contribuente (liquidazione e/o mantenimento di servizi non profittevoli nell'orbita delle partecipazioni statali).
  3. Esuberi: le cifre, ragionevoli, che circolano oscillano tra le 4 e le 7 mila unità, due-tre volte gli esuberi del piano Air France, ma Bonanni ha già detto che con 4 mila i sindacati si possono comunque sedere al tavolo delle trattative. Perchè questa diversità di giudizio rispetto all'alzata di scudi sindacale su Air France? E' semplice: nel nuovo progetto verrebbero attivati adeguati ammortizzatori sociali, sempre con oneri a carico del contribuente, al momento non esistenti per il settore; inoltre i sindacati, tradizionali detentori della golden share sull'azienda, continuerebbero a svolgere un ruolo di primo piano, il contrario di quanto si sarebbe verificato con la vendita ad Air France.
  4. New company: la new company è in realtà Airone, adeguatamente rafforzata con gli asset utili di Alitalia, in particolare marchio, slot aeroportuali e clientela. La clientela, in particolare, sommata a quella di Airone, garantisce alla new company un quasi monopolio sulle più frequentate rotte nazionali. In sostanza l'operazione di alta sartoria aziendale affidata da San Tremonti a Sant'Intesa consiste nel ritagliare un vestito che renda attraente Airone con i pochi pezzi buoni rimasti ad Alitalia. Anche qui non ci si poteva attendere nulla di diverso, dato il rapporto che lega da tempo Intesa con Airone e l'italica indifferenza ai conflitti d'interesse.
  5. Capitali freschi: considerato che il commissario di Alitalia e Toto conferiranno beni patrimoniali in natura, di soldi freschi per ora se ne intravvedono davvero pochi. Secondo i dati di Repubblica la colletta tra i 'capitalisti' tricolori porterebbe a circa 700 milioni di euro, ben poco rispetto alle esigenze di rilancio di Alitalia e comunque una frazione dell'impegno finanziario contenuto nella proposta di fine marzo scorso di Air France.
  6. Successo dell'operazione: molto incerto se si considera che il secondo trimestre di Alitalia è andato particolarmente male. Infatti, mentre dal lato dei costi gli eventuali risparmi derivanti dalla contrazione dell'offerta di Alitalia a partire dall'avvio dell'orario estivo dovrebbero essere stati interamente annullati dai rincari del combustibile, sul fronte dei ricavi occorre considerare la riduzione della domanda il cui ordine di grandezza è attorno al 20%. Su base trimestrale si tratta di circa 200 milioni di euro di ricavi in meno che si dovrebbero essere interamente riverberati sul risultato ante imposte. Nel II trimestre 2007 esso è stato negativo per circa 70 milioni di euro; nel II trimestre 2008 dubito che possa essere più contenuto di 270-300 milioni di euro. A tale cifra occorre aggiungere il risultato negativo ante imposte del I trimestre, pari a 214 milioni; si arriva in conseguenza, nella migliore delle ipotesi, a 500 milioni di perdita per il I semestre (ma potrebbero essere anche 550) con una probabilità di 900 milioni, un miliardo di perdita a fine 2008 in assenza di significativi interventi di ristrutturazione, dei quali non si vede avvisaglia, e di una ripresa del traffico passeggeri, anch'essa improbabile se si considera che l'intero mercato italiano del trasporto aereo si sta fermando (il tasso di crescita su 12 mesi è in riduzione da diversi mesi e in giugno si è attestato al +0,7%, contro circa un +6% per il resto dell'Europa).

Previsione: una volta resi noti i dati di bilancio del primo semestre è probabile che molti degli ipotetici partecipanti alla cordata tricolore ritirino rapidamente la loro disponibilità, impedendo all'accoppiata S. Intesa-S. Tremonti di fare l'atteso miracolo.

Commento-domanda finale: l'ultimo treno transitato alla Magliana era Air France; perché lo si è lasciato scappare?

martedì 22 luglio 2008

Poste da fantascienza nell'Italia prossima ventura

Dopo aver letto lunedì a tarda sera l'intervista di Sarmi su Affari e Finanza di Repubblica, Asimov mi è comparso in sogno e mi ha rivelato il prossimo fantascientifico servizio a valore aggiunto di Poste Italiane: il postino telematico con suoneria personalizzata. In sostanza il postino non suonerà più il campanello di casa nostra ma porterà con se suonerie personalizzate che potranno essere scelte, a pagamento, dai consumatori. Al Nord sarà comunque fatto divieto assoluto di scegliere come suoneria l'inno di Mameli.
Il postino del futuro sarà inoltre dotato di un minitritacarta-scanner ecologico portatile nel quale inserire direttamente le missive che il cliente intende spedire; questo al fine di evitare che si accumulino nei magazzini delle Poste e possano essere inviate al macero solo con grave ritardo e con costi aggiuntivi. I frammenti, opportunamente scannerizzati, saranno inoltrati al destinario via mail; in tal modo Poste potrà gestire direttamente l'e-substitution.
In cambio il postino continuerà a non recapitare la posta cartacea ai clienti i quali potranno andarsela a ritirare di persona alla sede Cisl più vicina, previa sottoscrizione di tessera con foto di Ialongo in copertina. Ogni 10 lettere in tal modo ritirate Tremonti offrirà, a pagamento, un'azione di Poste Italiane. A fine anno ogni famiglia italiana, che avrà in tal modo accumulato circa 30 azioni, dovrà versare a Poste Italiane un dividendo di 1,2 euro per azione, corrispondenti a 36 euro, esattamente l'equivalente del costo per famiglia del cosiddetto "(dis)servizio universale", sinora versato dal contribuente tramite il Tesoro.
Questa forma di azionariato popolare sarà tuttavia riservata ai soli cittadini italiani, con divieto assoluto di detenzione di azioni di Poste da parte di extracomunitari, regolari o irregolari, i quali dovranno continuire a contribuire a Poste esclusivamente attraverso l'acquisto, al prezzo tradizionale di 30 euro, del 'kit dell'immigrante', chiamato anche 'spedisci pure, tanto il permesso di soggiorno non lo vinci'.
A causa di un emendamento presentato alle due di notte dal leghista trentino Maurizio Fugatti, inoltre:
  • nel territorio padano i postini dovranno rispondere ai seguenti requisiti: essere nati e residenti in Padania, da genitori padani (da entrambi i lati) ; in alternativa dovranno dimostrare di conoscere perfettamente i 456 dialetti che vi si parlano;
  • le nuove divise dovranno essere rigidamente verdi e anche il tritacarta-scanner dovrà risultare prodotto in Padania in tutte le sue componenti (in tal caso è accettato anche se non funziona);
  • la posta internazionale potrà transitare solo dall'aeroporto di Malpensa;
  • la posta in arrivo dal Sud dovrà essere regolarmente disinfestata e quella da Napoli anche deodorata;
  • il prezzo del francobollo è fissato, per le regioni in cui la Lega non arriva al 10% dei consensi elettorali, a 6 euro.

Fantascienza? Anche se con Tremontik, supereroe mascherato da giustiziere fiscale, e le performance emendatorie notturne di Fugatti tutto è ormai possibile, per fortuna si trattava solo di un incubo e mentre stavo già per chiedere asilo politico al Principato di Monaco mi sono svegliato. In tempo per accendere il computer e aggiornarmi sul dibattito scaturito dalle osservazioni gestuali di Bossi sull'inno di Mameli.

Postilla. Al lettore serio di 'liberalizzazioni' questo post apparirà, come in effetti è, poco serio. Ma l'Italia, che seria invece dovrebbe essere, purtroppo lo è ancora di meno (come l'esempio della performance bossiana dimostra ampiamente). Dopo le scelte pubbliche più recenti in tema di economia e di libertà, economiche e personali, ben poco ci resta poco da fare: o la prendiamo in ridere, sinché ci sarà permesso, o emigriamo davvero.

Sogno o son poste?

Sotto la salda guida di Massimo Sarmi, che pare un novello Asimov, le Poste ci accompagnano a manina nel futuro imperscrutabile.
«Beh, se vogliamo che la gente venga da noi, dobbiamo [sabotare ogni tentativo di liberalizzazione ed, ndmt] offrire qualcosa di più e è appunto quello che stiamo facendo. Insieme al miglioramento di tutti i nostri servizi tradizionali, che sono poi quelli di consegnare la posta. Solo che adesso, con il postino telematico, la ritiriamo anche».
Tenetevi forte!

Lo chiamavano Catricalà

Il Presidente dell'antitrust si cimenta nuovamente con un suo cavallo di battaglia, la separazione della rete del gas. Allo scopo di conferirla ad un unico network paneuropeo, naturalmente. Secondo Catricalà,
''non e' difficile passare a una centrale unica di acquisto che avrebbe una forza contrattuale dieci volte quella dell'Eni o di Gas Natural. Di fronte a un monopolio di vendita e' infatti ipotizzabile non dico un monopolio di acquisto ma certo una grande centrale di vendita [acquisto, I suppose] che possa spuntare prezzi migliori per lo sviluppo dell'economia europea''.
La chiamavano concorrenza.

lunedì 21 luglio 2008

Italia (Dizionario dell'Italia)

Italia. Il paese del socialismo surreale e del capitalismo immaginario (*).

(*) Molti esempi potrebbero essere portati ma nel primo caso pescherei indubbiamente, nella lunga storia delle partecipazioni statali, il caso Alitalia (con l'appendice del caso Malpensa); nel secondo caso la privatizzazione Telecom, fatta in favore di capitalisti senza capitali e senza idee imprenditoriali.

domenica 20 luglio 2008

E se sui servizi pubblici locali avesse ragione l'ANCI?


Talvolta l’indignazione non è uno sfogo inutile, uno sterile esercizio di superiorità intellettuale. Ma sortisce degli effetti. Così capita che chi ha sbagliato sia costretto –almeno in parte- a tornare sui propri passi.

È il caso della riforma dei servizi pubblici locali targata centrodestra. Domenica scorsa il famigerato emendamento notturno l’aveva vanificata  introducendo delle deroghe così ampie al principio generale di affidamento mediante procedure competitive ad evidenza pubblica da far rimanere l’affidamento in house la regola.  Venerdì mattina la stizzita reazione di opposizione, analisti e –soprattutto- pezzi importanti della stessa maggioranza l’hanno sostanzialmente restituita al suo disegno originario sopprimendo le disgraziate modifiche fugattiane (incredibilmente tutte eccetto quella che consente alle società affidatarie dirette di partecipare a gare in ambiti non di pertinenza dell’ente controllante).

Rebus sic stantibus le nostre critiche affievoliscono ma non si placano del tutto. E si indirizzano prevalentemente alle deroghe ancora previste –lo erano già nella proposta iniziale- in “situazioni che a causa di particolari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento non consentono un efficace e utile ricorso al mercato” e alla pubblicizzazione delle reti –in parte oggi private. (Per una sintesi delle proposte Ibl in materia vedi qui).

Una volta sventato il blitz c’è allora ancora molto da lavorare. A tal fine l’ANCI propone di stralciare la riforma e dedicarle un ddl apposito. Forse -tranquilli: solo in questo e solo per questa volta- l’associazione dei comuni italiani potrebbe persino avere ragione…

 

venerdì 18 luglio 2008

Ricerca universitaria (Dizionario dell'Italia)

Ricerca universitaria. Attività accademica volta alla scoperta di nuove cattedre.

giovedì 17 luglio 2008

Declino dell'Italia (Dizionario dell'Italia)

Declino dell'Italia. Un paese al tremonti.

mercoledì 16 luglio 2008

I vizi del mercato e le virtù del perfetto pianificatore

I media hanno dato ieri ampio risalto ad una convergenza di valutazioni critiche sul mercato tra Giulio Tremonti e Guido Rossi in occasione di un'iniziativa al San Raffaele. Come racconta Nicola Porro sul Giornale:

Tra Rossi e Tremonti c’è una corrente di simpatia intellettuale che nasce da lontano. All’università del San Raffaele, ieri, si è celebrata una grande intesa tra i due sulle ragioni della crisi economica e finanziaria. ... Rossi e Tremonti condividono una certa allergia per gli economisti: «In questo caso i giuristi battono gli economisti. dieci a zero» ha detto ieri il ministro dell’Economia. Entrambi di formazione giuridica, hanno come il senso della superiorità della norma sulla pratica del mercato. Che tollerano, si intende, ma fino ad un certo punto. Ne discende un’idea del capitalismo lontana anni luce dalle pratiche liberiste. Il mercato non si autoregola, è la politica che se ne deve occupare: «Il mercato fin quando è possibile, e il governo quando è necessario». Per Tremonti il vizio dei liberali è il «mercatismo» per Rossi «l’integralismo di mercato»: più o meno la stessa cosa. E in questo momento, sostengono in coppia, ci vuole più governo.

In totale divergenza rispetto all'analisi Tremonti-Rossi formulo in sintesi alcune considerazioni:
  1. Dietro il primato della norma sulla pratica del mercato e dietro il primato della politica sull'economia si nasconde in realtà il primato del pianificatore sulle libere scelte di una molteplicità di decisori (che rischiano in genere risorse di loro proprietà).
  2. Il mercato è imperfetto per molte ragioni ma la principale è che sono imperfetti gli operatori. Pur rischiando soldi propri spesso si sbagliano perchè non dispongono di tutta l'informazione che servirebbe, non si comportano razionalmente o con la ragionevole prudenza che sarebbe invece necessaria.
  3. In molti casi gli errori degli operatori sono di segno opposto e tendono a compensarsi. In taluni casi sono dello stesso segno e si accumulano, sino a generare crisi (finanziarie ma che possono divenire economiche) anche gravi.
  4. Il mercato è uno strumento, serve a procurare maggiore benessere attraverso gli scambi e non risponde delle conseguenze dell'uso che ne viene fatto.
  5. Anche il martello è uno strumento, serve a realizzare gli scopi di chi intende piantare chiodi. Anch'esso non risponde del suo uso: se piantando un chiodo mi tiro il martello su un dito la colpa è mia, non del martello, e non mi sognerei mai di chiederne l'abolizione.
  6. Usare l'esempio di cattivi esiti del mercato contro il mercato come istituzione equivale a prendersela col martello a seguito delle contusioni che esso può procurare a utenti maldestri (o con le strade pubbliche per via del fatto che vi si verificano numerosi incidenti).
  7. Posto che il mercato è imperfetto e in esso si generano molti effetti indesiderati, il pianificatore centralizzato può fare meglio? La risposta in linea astratta è positiva ma richiede un decisore perfettamente informato, razionale e benevolente. Nella realtà concreta, in conseguenza, è negativa: il pianificatore centralizzato è semplicemente uno dei decisori soggetti a errori quando fanno scelte private, rischiando soldi propri e per le quali serve una quantità limitata di informazioni. Figuriamoci di quanto si accresce l'errore quando quel soggetto decide per tutti rischiando risorse altrui.

Si può a questo punto pervenire ad una interpretazione delle ragioni dell'apparentemente insolita convergenza tra Rossi e Tremonti: in Rossi la superiorità della norma sulla prassi del mercato è la superiorità del giurista che regola il mercato sull'agente imperfetto che lo usa; in Tremonti è invece la superiorità del perfetto pianificatore, che coincide col Ministro dell'Economia Tremonti, sugli imperfetti decisori individuali, i 59 milioni di italiani che si arrabbattano per arrivare a fine mese.

martedì 15 luglio 2008

Antimercatismi anche per i servizi pubblici locali


A quanto pare l’On. Fugatti ha fatto un'altra vittima. Dopo l’indipendenza dell’Autorità per l’Energia a cadere in un agguato dell’esponente leghista è stata la riforma dei servizi pubblici locali. Con un altro emendamento alla legge di conversione del decreto legge allegato alla manovra finanziaria presentato nottetempo sono state introdotte modifiche tali da inficiare la liberalizzazione del comparto promessa marinarescamente in campagna elettorale.

In particolare sono state riammesse deroghe al principio di affidamento mediante gara per le società municipalizzate e miste quotate in borsa che -in forza di queste eccezioni- permarrebbero inesorabilmente al riparo dalla concorrenza, continuerebbero a godere di un’ingiustificabile rendita di posizione e potrebbero persino partecipare a eventuali gare per l’affidamento di servizi fuori dal territorio di competenza dell’ente locale controllante...

Si tratta del remake di un film, già visto la passata legislatura, dal  titolo “Ddl Lanzillotta”. Stessa trama: l’iter travagliato di una proposta di riforma dei spl; stesse ambientazioni: le commissioni parlamentari ostaggio delle lobbies locali; stesso finale: il mantenimento dello status quo. Cambia solo l’assassino. Ad ammazzare il Ddl Lanzillotta erano stati i comunisti. Questa volta il killer si chiama Maurizio Fugatti. Ed è segretario della Lega Nord Trentino.

 

giovedì 10 luglio 2008

Waiting for Alitalia…

Alitalia non se la passa bene. La decisione del 9 Luglio scorso del Tribunale europeo di prima istanza che ha respinto il ricorso della compagnia circa la ricapitalizzazione di 1,4 miliardi di euro, effettuata dopo la liberalizzazione del mercato europeo, è l’ennesima conferma della situazione critica della compagnia; probabilmente la decisione europea è più triste per il contribuente italiano che per il vettore di bandiera. Risulta infatti sempre più evidente che il vero perdente di tutti questi finanziamenti a fondo perduto ad Alitalia è colui che con le proprie tasse permette al vettore di sopravvivere.

La compagnia sarebbe già fallita da lustri e senza le operazioni straordinarie degli ultimi mesi, la disponibilità finanziaria netta di Alitalia sarebbe stata negativa per circa 450 milioni di euro.
Il prestito ponte verrà molto probabilmente bocciato, ma è stata l’ultima carta giocata da parte della politica e con l’approvazione del sindacato per mantenere in vita la compagnia.

La terza fase di privatizzazione è iniziata da più di un mese e il nuovo advisor Intesa – San Paolo sembrerebbe avere assunto una direzione per uscire dalla crisi alquanto dubbia.
La creazione della NewCo Alitalia a cui verrebbero assegnati tutti gli asset più preziosi del vettore di bandiera andrebbe ad AirOne senza alcuna gara. La bad company, con migliaia di esuberi, rimarrebbe in mano statale che si ritroverebbe a gestire la parte fallimentare di Alitalia a proprie spese.
La soluzione sarebbe dunque ottima per Intesa – San Paolo, che è creditrice nei confronti delle due compagnie italiane, sufficiente per AirOne che crescerebbe tramite fusione e pessima per lo Stato a cui rimarrebbe il peggio di Alitalia.

E la cordata d’imprenditori italiani? I dubbi erano leciti nei mesi scorsi, in quanto a distanza da tre mesi dalle elezioni, nessun imprenditore è uscito allo scoperto. Non è detto che qualche d’uno non possa arrivare con le famose chip da 50 – 100 milioni di euro, ma difficilmente un imprenditore investe i propri soldi in un’impresa che perde quasi un milione di euro al giorno per dieci anni.

La nuova AliOne, infatti, nel 2008 non se la passerà bene a causa dell’aumento del prezzo del carburante e se le due compagnie fossero unite, insieme potrebbero avere perdite per circa 400 milioni di euro. Resterebbe un piccolo operatore europeo, con il 4 per cento del mercato e un piccolo monopolista su alcune rotte nazionali (Milano Linate – Roma Fiumicino). La compagnia sarebbe estremamente debole al di fuori di uno dei vettori di riferimento del mercato europeo (Air France – KLM, Lufthansa, BA).

Alcune fonti giornalistiche hanno immaginato che certi imprenditori, in particolar modo Ligresti e Benetton, sarebbero intervenuti a salvare Alitalia, grazie ad uno scambio su più fronti. L’aumento delle tariffe autostradali sembra indicare che si possa andare in questa direzione, ma mi permangono dei dubbi; non credo che degli investitori brucino dei soldi in un’avventura molto da “Repubblica delle banane”. Inoltre i Benetton avrebbero dei seri problemi con l’antitrust perché sono proprietari di società aeroportuali e difficilmente potrebbe lanciarsi nel salvataggio di Alitalia senza abbandonare il business aeroportuale; questo abbandono quasi certamente non avverrà perché le società aeroportuali sono dei monopoli naturali e hanno degli ottimi rendimenti, mentre il settore aereo è troppo concorrenziale ed i rischi sono estremamente elevati.

Alitalia dovrebbe essere fallita, ma la politica ed i sindacati non riescono a separarsi dal loro gioco ormai rotto da una gestione pubblica fallimentare.
Si aspetta una soluzione per Alitalia, ma forse sarebbe meglio rendersi conto che la soluzione migliore è il commissariamento e l’attesa costa solo altri soldi al contribuente.

mercoledì 9 luglio 2008

Farmacie come feudi

Riceviamo e pubblichiamo una lettera che ci racconta, con un vivido esempio, le inefficienze e le ingiustizie nel nostro sistema di distribuzione farmaceutica - di recente analizzato in un bel paper di Silvio Boccalatte.


Il principale obiettivo del sistema della Pianta Organica delle farmacie è quello di assicurare una rendita di posizione ai farmacisti titolari. Certamente la principale preoccupazione non è quella di soddisfare le esigenze dei cittadini, che soprattutto nei comuni con meno di 5000 abitanti ricevono spesso un servizio di gran lunga inferiore a quello che potrebbero ricevere.
La mia esperienza è emblematica: sono un farmacista laureato ed abilitato alla professione che, dopo dieci anni di tentativi in tutta Italia, ha finalmente vinto a concorso la possibilità di aprire la tanto agoniata farmacia.
Un piccolo paese del Cremonese, con circa 400 abitanti, includendo anche le frazioni, non è esattamente un mercato facile, ma poiché amo le sfide, ho deciso di accettare la sede, tra lo stupore del sindaco e della giunta. Tutti i mei predecessori avevano gettato la spugna.

Purtoppo, neanche io potrò mai aprire una farmacia in quel paesino: pare infatti che non vi siano locali adibiti ad esercizi commerciali (C1) liberi. Questo mi è stato comunicato dal sindaco, anche se, in verità, io sono a conoscenza del fatto che questi locali ci sono e sono vuoti.

Allora mi è venuto un dubbio: non è forse possibile che il sindaco stia cercando di proteggere il farmacista del comune vicino, che attualmente gestisce un piccolo dispensario nel comune aperto solo per poche ore a settimana per arrotondare il ricco bottino? A pensar male si fa peccato però...
E' infatti prassi consolidata che i farmacisti "feudatari" propretari di farmacie in comuni di grandi dimensioni aprano dispensari nei comuni vicini. L'esistenza di un dispensario è meglio di nulla, per gli abitanti dei piccoli centri: il problema è che può impedire l'apertura di nuove farmacie. Una vecchia legge regionale, infatti, da facoltà alla Regione di non attivare una sede farmaceutica in quei comuni dove è presente e funzionante un dispensario.
Nel mio caso, la farmacia è andata a concorso "per sbaglio": all'epoca dell'istituzione del concorso non era ancora stato aperto il dispensario.

E' per me frustrante aver passato anni a partecipare a concorsi per poi vedermi negato il diritto di aprire la farmacia vinta a concorso. Purtroppo non ho potuto indicare in tempo il luogo dove aprire la farmacia, perchè non ho trovato locali liberi adibiti a C1 idonei. Il che vuol dire che non potrò esercitare questo diritto e come me tutti quelli che seguiranno in graduatoria. L'impegno ed il merito di farmacisti qualificati verrà insultato, e gli abitanti del paesino si accontenteranno di un dispensario aperto poche ore alla settimana.

Cui prodest? Il feudatario del paese accanto vedrà certamente allargato il propio feudo. Ma la Pianta Organica non doveva tutelare i cittadini?

Dr. Pietro Marino

lunedì 7 luglio 2008

Dalla finanza creativa alla regolamentazione creativa

L'ultima trovata del più illustre economista italiano (absit iniuria verbis) promette di debellare il flagello della speculazione... attraverso l'antitrust. (Il che, per inciso, la dice lunga anche sul livello della competition policy nell'Unione.) Vi pare possibile che Tremonti non abbia ancora pensato ad attivare i Ghostbusters? Nel frattempo, c'è persino qualche pretenzioso economista amateur che s'azzarda a dargli consigli...

(Disclaimer: post sarcastico.)

domenica 6 luglio 2008

Il professor Cipolletta e il Ph.D. in rent seeking

Il presidente di Ferrovie dello Stato, Innocenzo Cipolletta, concede oggi al Corriere della Sera un'intervista che meriterebbe di essere inclusa nel manuale per il corso di Ph.D. in rent seeking. Descrivendo un paesaggio autostradale che tutti abbiamo visto - traffico, congestione, file di tir parcheggiati nelle piazzole - egli minaccia che "se le cose resteranno così, i milioni e milioni di investimenti che stiamo facendo nell'alta velocità non serviranno a niente". A nome dell'Istituto Bruno Leoni, ringrazio sentitamwnte il professor Cipolletta per aver confermato una nostra vecchia tesi - che, appunto, quei milioni e milioni di euro sono puro spreco. Cipolletta non lo dice, ma lo aggiungiamo noi, che un'azienda privata neppure si porrebbe il problema; il problema se lo pone un'azienda pubblica, assistita e malpresa come Trenitalia, la quale vive di sprechi, e negli sprechi ha la sua stessa ragione sociale. Il presidente della compagnia ferroviaria pubblica rafforza ulteriormente il punto, affermando che "se, al di là degli investimenti, non arrivano anche politiche adeguate per disincentivare l'utilizzo della gomma per il trasporto merci, le nuove opere resteranno sottoutilizzate". E' un interessante modo per dire che (a) le ferrovie stanno investendo miliardi di euro in opere inutili; (b) al danno finanziario ai contribuenti (che si trovano costretti a finanziare infrastrutture inutili) si aggiunge la beffa regolatoria (se Cipolletta sarà ascoltato, verranno varate policies le quali renderanno obbligatorio, o fortemente incentivato, il ricorso a un modo di trasporto non competitivo - altrimenti non avrebbe bisogno di incentivi regolatori oltre che di sussidi). Non dalla benevolenza del ferroviere...

venerdì 4 luglio 2008

Cominciano i saldi (anche per i beni culturali?)

I primi giorni di luglio cominciano i saldi estivi e Salvatore Settis sul Sole 24 Ore di oggi si chiede se anche i Beni culturali siano in liquidazione. Per Settis, viviamo in una situazione permanente d'emergenza: qualche anno fa aveva scritto un pamphlet gridando alla svendita del nostro patrimonio culturale da parte del governo di Centrodestra di allora. E, dagli anni '90, non ha mai risparmiato critiche ai vari ministri che si sono succeduti: dalla Melandri a Urbani, Da Veltroni e Bondi. Ecco, ora è il turno di Bondi. Settis mette in risalto come i fondi per il Mibac diminuiscano continuamente. In queste condizioni la tutela dei beni diverrebbe impossibile. Allora si chiede: che il progetto del governo (mai esplicitato) non sia quello di devolvere le competenze alle Regioni? Se per Settis sarebbe un'eresia, per quanto mi riguarda sarebbe un'ottima idea. Chissà poi cosa pensa il nostro influente pensatore della proposta dell'assessore della Regione Sicilia di dare in concessione a privati la gestione della Valle dei templi. Sicuramente sarà contrario ma se questo comporta un ridimensionamento delle spese e del personale pubblico, perchè no? Tra l'altro la Regione imporrebbe dei vincoli d'uso del sito. Cominciare finalmente a gestire con logiche d'impresa, da parte di privati, anche i beni culturali è tutto tranne che un'idea campata per aria. Servirebbe un costante passaggio di consegne dal pubblico al privato. Ma per agire su questa strada occorrerebbe un ministro della cultura come il Principe de Curtis...