Alcune influenti voci, in Europa (The Indipendent European Sport Review caldeggiata dalla UEFA), vorrebbero che venisse concessa una “block exemption” al settore calcistico. Una block exemption rappresenta la possibilità – per le imprese interessate – di agire nei mercati non curandosi della normativa antitrust. Tale tipo di esenzione ha senso quando la struttura del mercato coinvolto non permette il fiorire della concorrenza, e dunque i migliori risultati a livello di benessere sociale vengono raggiunti lasciando le imprese libere di colludere (vedi ad esempio la R&S nel settore farmaceutico o gli orari dei voli nel settore del trasporto aereo). È questo il caso del calcio nei vari Campionati europei?
Discutendo di ricadute concorrenziali sul settore calcistico è necessario ampliare l’orizzonte al mercato a valle dell'emittenza televisiva. Ciò è dovuto al fatto che per le società calcistiche i ricavi derivanti dalla vendita dei diritti di trasmissione degli incontri rappresentano la parte maggiore degli incassi totali. Dal punto di vista delle emittenti televisive, il prodotto sportivo è praticamente insostituibile per le sue caratteristiche uniche. Tra tali caratteristiche si può in particolare segnalare, a differenza di ogni altro prodotto televisivo, l’altissimo interesse che genera nel pubblico nel momento stesso dell’evento e, insieme, la sua rapidissima deperibilità: dal massimo valore della diretta al minor valore della differita ravvicinata e degli highlights (la rassegna degli incontri di una giornata di campionato), fino allo scarsissimo valore dei giorni successivi all’evento, lo scarto temporale è assai breve.
Il potere contrattuale del generico venditore di diritti sportivi televisivi dipende in parte dal numero di sports che gli spettatori considerano alternativi. Negli Stati Uniti la varietà di sports amati dal pubblico è superiore rispetto a quella dei Paesi europei: baseball, basketball, football e hockey contro l’unica vera nostra passione, il calcio. Per questo motivo, la situazione in Europa è più complessa rispetto a quella negli States, da noi il pubblico viene attratto in modo continuativo quasi unicamente da un solo sport. In questo modo, una fonte essenziale di competizione, quella tra diversi sports, viene a mancare, dando modo alle imprese calcistiche di prendere ogni decisione con maggiore autonomia rispetto agli altri attori del mercato.
Solitamente, ogni sport professionistico viene organizzato sotto forma di lega, la quale si preoccupa di gestire i regolamenti, di mantenere equilibrate le competizioni, di curare i rapporti tra le squadre e la promozione dello sport, ossia di fare in modo che il valore complessivo generato dai partecipanti per il pubblico sia massimo. Abbracciando la teoria dell’entità singola si può affermare che ogni lega sia dal punto di vista concorrenziale un’entità unitaria, la quale compete innanzi tutto con le forme di intrattenimento sportivo (Formula Uno, tennis, palla-nuoto, ecc.) e poi con tutte le altre forme di intrattenimento in generale per occupare il tempo libero dei consumatori finali (i quali hanno pur sempre un monte-ore limitato da allocare tra partite trasmesse, eventi sportivi di altro tipo, cinema, concerti e così via). In conformità a questa dottrina, ed unitamente a quanto detto in precedenza, possiamo affermare che la lega calcistica sia un cartello. Mentre nelle altre industrie non ci si duole della cattiva performance dei concorrenti, anzi se ne trae beneficio, nell’industria del calcio e, in genere, in tutta l’industria dello sport, la scarsa competitività dell’avversario finisce per danneggiare anche i concorrenti. Infatti, affinché un singolo incontro ovvero un intero campionato attraggano il maggior numero di spettatori è necessario che le competizioni siano equilibrate e il loro esito altamente incerto. Ecco perché è importante che vi sia un’organizzazione sopra delle parti – la lega – che operi affinché tale equilibrio venga sempre mantenuto. È possibile, però, separare le decisioni che dovrebbero essere prese dalla lega attraverso la concertazione dei suoi membri per il bene sociale, da quelle che, invece, dovrebbero essere prese individualmente da ogni membro, affinché i consumatori possano godere dei benefici della competizione tra gli stessi. L’adesione ad un regolamento comune ed un calendario di date centralizzato ricade nella prima categoria. La determinazione del numero di biglietti messi in vendita ed il loro prezzo, invece, appartengono alla seconda.
Procedendo per tale via ci si imbatte nel fatto rilevante ai fini competitivi: la vendita dei diritti calcistici dovrebbe essere gestita in modo centralizzato dalla lega o individuale dalle singole squadre? Sorvolando le complesse tematiche giuridiche sulla titolarità di tali diritti, dal punto di vista economico esistono due principali argomentazioni da affrontare per giungere ad una risposta.
Il primo elemento riguarda la redistribuzione delle risorse tra le società facenti parte della lega. La vendita centralizzata assolve primariamente l’obiettivo mutualistico che le squadre nel loro insieme devono garantire tra più forti e più deboli. Ovviamente, le squadre maggiori avranno un bacino di tifosi superiore. Quindi, la domanda per le loro partite sarà maggiore rispetto a quella delle squadre più deboli. Questo, porta il valore dei diritti di trasmissione sugli scontri delle squadre più solide ad essere maggiore. Ciò, in ragione della maggior audience potenzialmente generata dai diritti sulle squadre più forti. Se dunque ogni squadra vendesse indipendentemente dalle altre i propri diritti, ed incassasse il solo valore corrispondente, sul lungo periodo potrebbero manifestarsi fenomeni controproducenti per la lega nel complesso. Le squadre più forti crescerebbero sempre di più grazie alle maggiori risorse disponibili in sede di acquisto dei giocatori e dei membri dello staff, mentre le squadre più deboli continuerebbero ad aggravare la propria situazione. Aumenterebbe la disuguaglianza e verrebbero incrinati gli equilibri dai quali dipendono tutte le squadre e la loro attrattività nei confronti dei tifosi. A tale problema viene posto rimedio attraverso la vendita centralizzata con susseguente suddivisione in parti uguali dei ricavi collezionati. In questo caso, però, a fronte della risoluzione di un problema, ne sorge uno nuovo. Infatti, l’incentivo delle squadre più deboli a rinforzarsi diminuirebbe se, comunque andasse, queste fossero certe di ottenere una quota uguale a quella degli altri membri della lega ed inoltre, quelle più forti si sentirebbero private di parte di quel valore che proprio grazie a loro il campionato nel suo complesso genera. Quest’ultimo punto assume grande rilevanza alla luce del fatto che le squadre più forti non sono coinvolte unicamente nel campionato nazionale ma anche in quello a livello europeo. Dovendosi scontrare con tutte le maggiori società calcistiche di ogni Paese si sentirebbero, quindi, doppiamente bisognose di quelle somme che con il sistema centralizzato andrebbero in favore delle squadre più deboli del campionato nazionale. In Italia, poi, è la squadra di casa il soggetto organizzatore dell’evento, ossia colui che rende disponibili gli ingredienti principali e le infrastrutture necessarie per lo svolgimento dell’incontro, sopportandone il rischio imprenditoriale.
Il secondo elemento riguarda gli effetti sugli assetti del mercato televisivo. La vendita centralizzata tende a concentrare in capo ad un’unica emittente i diritti dell’intero campionato, a meno di non ipotizzare la frammentazione dell’offerta (ad esempio dividendo gli incontri della stagione in più pacchetti), così da favorire l’acquisto da parte di una pluralità di soggetti. Con la vendita individuale, invece, appare meno probabile, sebbene non impossibile, che tutti i diritti vengano acquistati da un’unica emittente.
In considerazione del fatto che ogni singola squadra sia si parte della lega, ma sia anche un’impresa distinta che si assume tutti i rischi derivanti dalle proprie azioni e delle serie ricadute che la negoziazione collettiva potrebbe avere sui mercati a valle, sembra ragionevole schierarsi dalla parte di chi si dice contrario all’idea della block exemption del settore calcistico.
L’unica perplessità potrebbe aversi sull’elemento mutualistico che sembrerebbe essere stato trascurato. In realtà, l’osservazione dei fatti ha confermato che in Italia, per esempio, il sistema redistributivo faticosamente partorito in seno alla Lega Calcio dopo l’abbandono della vendita centralizzata, non sembra aver trasformato il campionato italiano in una competizione squilibrata. Evidentemente, l’esigenza di impedire che il cartello colludesse anche quando non necessario e che si provocassero ulteriori deterioramenti al mercato a valle ha prevalso sul resto; dimostrando, inoltre, l’esistenza di mezzi alternativi alla vendita centralizzata attraverso i quali una lega possa massimizzare la pressione competitiva tra i suoi membri.
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