domenica 22 luglio 2007

Letta, il Pd e le liberalizzazioni / 2

UPDATE Walter Veltroni annuncia le 10 riforme per cambiare l'Italia. Tutte cose interessanti. Però non c'è nulla che abbia a che fare con la politica economica, se si esclude il frusto e poco credibile (viene dal sindaco di Roma) richiamo al federalismo fiscale.

Alberto Mingardi è scettico sulla candidatura di Enrico Letta alla leadership del Partito Democratico. Nella sostanza, la posizione di Alberto è: Letta predica bene ma non razzola. Di fronte a quella che, per lui, è la "comprovata indifferenza lettiana", insinua (ma veltronianamente non dice) che forse sarebbe meglio "l'anguillesca ambiguità veltroniana".

La penso esattamente all'opposto. Il Pd può essere e in parte è già stato, per il sistema politico italiano nel suo complesso e per il centrosinistra in particolare, un fenomeno positivo, che induce semplicità e chiarezza. Perché ciò accada, serve però che il profilo del Pd sia apertamente riformista, che vuol dire: riformista in politica economica. Tutto il resto è dettaglio. Ora, Alberto concede che Letta predica bene (Veltroni non predica, Rosy Bindi predica male, Furio Colombo berlusconeggia). E questo è già un punto a suo favore. Intendiamoci: Letta è cresciuto nell'Arel di Beniamino Andreatta. La sua idea del mercato non coincide con la nostra. La sua visione è, per così dire, monopoliofobica (nel senso dei presunti monopoli privati) e il progetto di riordino delle authority ne è una dimostrazione. Tuttavia, in un paese dove i monopoli sono monopoli pubblici, all'atto pratico la distanza rispetto a chi, come noi, ritiene che liberalizzare significhi sostanzialmente rimuovere le barriere legali, regolatorie, fiscali e parafiscali all'ingresso non è abissale. Letta ha anche posizioni ragionevoli su un tema come quello delle pensioni, che esprime abbastanza chiaramente nell'introduzione al bel libro di Marianna Madia (nella quale pure non compare una sola volta la parola "scalone"). E in generale Letta è sensibile ai problemi delle imprese e, in un governo diverso da questo, ha fatto (e molto) per liberalizzare.

Alberto ribadisce che, nell'intervista ad Aldo Cazzullo e nella sua azione di governo (questo), Letta è stato defilato. Per lui è una critica, per me un punto di merito. Come poteva, uno con le sue convinzioni e nella sua posizione, fare altrimenti? Uscire allo scoperto avrebbe voluto dire venir meno alle responsabilità di cui è investito. Suppongo che, dentro di sé, Letta abbia del primo anno di governo Prodi un'opinione non molto diversa da quello della maggior parte degli italiani, compresi molti che l'avevano appoggiato. D'altronde, gettare la spugna significherebbe lasciare l'esecutivo ostaggio della sinistra sinistra ancor più di quanto non sia, e sarebbe dunque una grave dimostrazione di immaturità. Detto altrimenti: senza quel poco o tanto che Letta ha fatto, il bilancio del governo sarebbe ancora più in rosso.

Sono quindi convinto che, per quanto improbabile, un'affermazione di Enrico Letta farebbe bene al Pd, al governo e al paese. Il vero rischio è che l'anguillesca ambiguità veltroniana affoghi nel nulla un progetto, come quello del Pd, che ha potenzialmente una importante carica innovativa. Nonostante tutto, meglio il silenzioso (forse anche impercettibile, dal punto di vista degli effetti, ma certo non dannoso) lavorio lettiano.

Nessun commento: