Nei commenti su Liberalizzazioni.it ed in un successivo post sul suo blog, la blogstar italica Phastidio ha sollevato alcune perplessità sulle osservazioni di Carlo Lottieri in merito ad un recente studio di tre ricercatori di Bankitalia.
In breve, Phastidio replicava alle remore di Carlo (non tanto sui risultati quanto) sul metodo della ricerca*, riaffermando la necessità che ogni buon economista a) tenti di falsificare empiricamente le teorie e b) si serva, nel corso di tale operazione, di modelli matematici; tutto ciò di fronte alle pretese contrarie della Scuola austriaca (un'ideologia, secondo la critica frettolosa), che a tali strumenti contrappone il procedimento logico-deduttivo e l'argomentazione.
Il dibattito non è nuovo, ed ha generato incomprensioni assai profonde - a dispetto delle affinità ideologiche - tra gli studiosi favorevoli al mercato - che tipicamente amano guerreggiare su questioni assai meno rilevanti. Questo blog non è il posto adeguato per dipanare i risvolti della diatriba, e d'altro canto i nostri lettori che desiderino approfodire il tema avranno a disposizione un'ampia messe di fonti.
Giova però rilevare come la distanza apparente tra l'apriorismo austriaco ed il positivismo mainstream sia talvolta più cospicua di quella effettiva. Per citare un unico significativo esempio, James Buchanan - non certo un misesiano, seppur simpatetico nei confronti degli Austriaci - commentò un paper apparso negli anni '80 sull'American Economic Review e mirato a dimostrare gli effetti pro-occupazionali del salario minimo (!) paragonandolo allo sforzo di un fisico che sostenesse che l'acqua scorre in salita. Evidentemente sotto la scorza d'ogni economista si cela l'anima di un prasseologo! (Forse questo non vale per Phastidio, secondo cui, viceversa, «l’economia non è la legge della caduta dei gravi».)
Il senso profondo dei rilievi di Carlo stava, mi pare, nella tensione al raffinamento degli argomenti che determina la credibilità delle proprie proposte e previene le obiezioni più salienti. Insomma, poiché è della desiderabilità di determinate politiche pubbliche che, in ultima analisi, qui discutiamo, è opportuno enfatizzare la convergenza delle soluzioni, più che la divergenza dei metodi. Ma è altrettanto opportuno puntualizzare - come ha fatto Lottieri - la debolezza di alcuni passaggi logici, perché di tali precisazioni beneficia l'intero argomento.
UPDATE Interessanti note a margine da parte di Liberty First.
* Va anche precisato che le considerazioni di Carlo non sono rivolte, come Phastidio sembra ritenere, a questo particolare modello, ma allo strumento dei modelli econometrici in generale.
12 commenti:
Per precisare, il mio post è rivolto alla critica dei modelli econometrici in generale, non a quello di Bankitalia. Quanto alla scuola austriaca, definirla ideologia non è un insulto, ma una premessa. Se i postulati di tale ideologia non vengono confermati empiricamente, può sempre sorgermi il dubbio che qualche assioma non regga. Oppure posso dire che il modello è del tutto unfit alla teoria. Affermazione pericolosa e vagamente totalitaria, se portata alle conseguenze estreme.
Persino la curva di Laffer, che in ambito accademico continua ad essere guardata con robusto sospetto proprio per la scarsa rispondenza empirica della sua ipotesi centrale, è nata dall'osservazione empirica.
Va anche precisato che le considerazioni di Carlo non sono rivolte, come Phastidio sembra ritenere, a questo particolare modello, ma allo strumento dei modelli econometrici in generale
Questa nota mi pare assai preoccupante: rifiutiamo in toto i modelli econometrici. Bene.
Adesso supponiamo di dover costruire una asset allocation di un fondo di investimento col metodo prasseologico: che faccio?
Supponiamo di dover valutare un programma di riduzione delle imposte in presenza dei parametri di Maastricht (che, grazie a Dio e soprattutto all'UE, esistono): come faccio a valutare ex ante se, ex post, riuscirò a rispettare i parametri oppure no?
Finché la scuola austriaca rimarrà ancorata a questi suoi rigidi principi, rimarrà quello che attualmente è: materia per discussioni filosofiche in banchetti di pochi intimi, priva di qualsiasi utilità pratica.
La realtà dell'economia è fatta, nella prassi quotidiana, di aridi numeri, e con quelli bisogna lavorare.
Se si vuole dire che bisogna ridurre le imposte perché si ritiene che è la cosa giusta da fare, si sta facendo una affermazione di principio che, per quanto valida, è di scarsa utilità pratica. Perché nella pratica, essendoci bilanci da far quadrare, urge un metodo per valutare gli effetti di una proposta: l'economia, allo stato attuale, non dispone di uno strumento migliore dell'econometria.
La cosa può non piacere, ed ognuno è libero di criticare il metodo: ottimo, ma che ci mettiamo al suo posto?
In anni (troppi) di studio una cosa ho imparato: la pars destruens è assai facile, specie in economia dove ogni teoria ha dei punti deboli che lo stesso propugnatore riconosce; il problema è la pars construens.
Io mi sono reso conto che le differenze tra i due approcci si trovano ad un livello così fondamentale che richiedono un'analisi approfondita dei principi filosofici ed epistemologici di partenza.
Questa riflessione manca completamente nell'economia accademica, ma a volte in quella Austriaca sembra più un fine in sè che non un modo per migliorare la qualità della teoresi, che dovrebbe essere lo scopo della filosofia, non essendo ragionevole impelagarsi in discussioni interminabili (e non confrontabili coi fatti) se non fosse per affrontare un qualche problema concreto.
Io ho riscritto un altro papocchio sull'argomento. Non mi aspetto che sia comprnesibile: sono il primo ad avere dei dubbi. Però la cosa evidente è che il problema è complesso, e non so se certe battute e certi nomignoli aiutino effettivamente la reciproca comprensione.
Per capire la complessità dei problemi mi limito a due o tre punti. Avevo scritto un commento enorme ma ora è diventato un post:
http://2909.splinder.com/post/15457251/
Una cosa del genere dovrebbe diventare un articolo da 6-7 pagine, però, altro che post! :-D
Phastidio: sei sicuro che la falsificabilità delle teorie è possibile, in economia, e che l'appello ai fatti sia così evidente da non essere controverso? In realtà a me pare un principio filosofico e metafisico... e non si può accusare qualcuno di metafisicità da un punto di vista metafisico. Detto in termini concreti: quello che tu poni come soluzione è in realtà il problema discusso, o per dirla dottamente, è una petitio principii. Con questa ovvia controcritica non voglio sottintendere che esista una soluzione altrettanto ovvia al problema.
LMD: Non c'è nulla nella valutazione dei portafogli di non Austriaco. Nel mio complesso commento da te ponevo l'attenzione sulla distinzione tra strumento euristico e comprensione teorica. Gran parte dell'avversione ai metodi quantitativi come strumento non discende dalle premesse epistemologiche Austriache... se gli Austriaci odierni capissero questo, sarebbe una grande conquista per la Scuola.
PS Non so se esistono ancora gli atti amministrativi di Boehm-Bawerk quando era ministro delle Finanze dell'Impero Asburgico o gli atti dell'Institut fuer Konjuncturforschung di Mises e Hayek... però mi aspetto non siano molto diversi dall'analisi di Bankitalia... forse un bel po' più ricchi teoricamente, ma non diversi: si tratta infatti di problemi attinenti all'indagine storica.
ragazzi di IBL, siate buoni pero'.
come non condividere, da scienziati, la frase "Ma è altrettanto opportuno puntualizzare - come ha fatto Lottieri - la debolezza di alcuni passaggi logici, perché di tali precisazioni beneficia l'intero argomento".
Rimane pero' da capire se le puntualizzazioni vadano in quella direzione o aprano strade un po' cosi'.
Cioe' se Carlo dice "Il punto di partenza – per esplicita ammissione degli autori – è un “modello di equilibrio generale dinamico stocastico”: un modello, quindi, assai astratto e lontano dalla realtà" a me non possono che cadere le braccia.
Un modello e', by definition, una cosa astratta e lontana dalla realta'. Un modello che sia concreto e simile alla realta' generalmente non serve a nulla, perche' la realta' e' cosi' complessa che abbiamo bisogno, appunto, di modellizzarla.
La valutazione di un modello non va dunque fatta secondo astratti criteri di similitudine alla realta' ma nella sua capacita' di replicare, nei suoi outcomes e non nelle sue assumptions, la realta' stessa.
Nel caso specifico vi e' veramente poco da dire sul modello di equilibrio economico generale stocastico. Trattasi non di modello supremo ma di quanto meglio abbiamo a disposizione. Certo meglio, quando si tratta di prendere decisioni, di riflessioni epistemologiche in cui non mi addentro per mancanza di tempo e voglia.
E che non mi si appiccichi l'opinione opposta "lo stochastic general equilibrium approach e' sempre buono"; no, ogni modello ha caratteristiche specifiche che catturano caratteristiche specifiche e salienti del fenomeno reale che si vogliono spiegare. La sua bonta' va valutata non in astratte proposizioni che critichino i modelli econometrici e teorici ma nei suoi specifici risultati e nelle distorsioni presenti in esso, nella sua capacita' di riprodurre comportamenti reali e dati reali.
La critica poi non si deve basare su argomenti cliche' quali "l'economia non e' mai in equilibrio", quando non solo l'economia molto spesso lo e' in equilibrio, per lo meno in un intorno dell'equilibrio o in transizione tra un equilibrio e l'altro (e dunque i modelli di equilibrio la descrivono serenamente), ma soprattutto il concetto stesso di equilibrio e' un intellectual device che serve solo a farci ragionare su certi aspetti e non una descrizione fedele della realta' (della quale poco ci interessiamo). Non importa se l'economia sia in equilibrio (o importa relativamente); importa se la sua descrizione "in equilibrio" sia capace di descriverne aspetti dinamici e statici salienti e importanti.
"As if" e' la chiave epistemologica, se volete. Non importa se l'economia sia in equilibrio; importa se si comporti come se (as if) fosse in equilibrio.
Non ho poi ben capito il riferimento a Bayes e alla probabilita' ma ho il sospetto che servisse piu' che altro a impressionare il lettore distratto.
Cioe' io sono apertissimo ad ogni critica ed ogni miglioramento ma la critica deve essere all'interno dei margini dell'utilita' (intendo, deve essere utile, come nel caso specifico sarebbe stato il richiamo ad aspetti specifici del modello che potrebbero influenzare in maniera sospetta i risultati o il richiamo ad aspetti ignorati del problema, possibili dati da tenere in considerazione) altrimenti rimane una critica quasi di maniera.
PS non mi si fraintenda, io sono d'accordo con Carlo che le tasse siano cosa sospetta in re ipsa. Quando sento parlare di tagli alle tasse mi si illuminano commossi gli occhi, per il semplice fatto che quelli sono i nostri soldi e non di qualche burocrate di Roma. Sono pero' anche consapevole del fatto che questo argomento non suffice agli occhi di chi vede il governo come il mandatore di tutti i beni sulla terra e il capitale come lo sterco del demonio. Quindi la battaglia va spostata dal campo della filosofia politica a quella della scienza economica, delle proposizioni empiricamente verificabili (o tendenzialmente verificabili) e dell'analisi dei dati. Questo puo' essere fatto solo con approccio positivista (come lo chiamate voi, io lo chiamo scientifico) e l'epistemologia la lasciamo ai barboni filosofi delle universita'.
Phastidio: continuo a non capire perché quella austriaca sarebbe un'ideologia. Peraltro, come tu m'insegni, le conferme empiriche non sono di questo mondo. A voler essere pignoli, neppure le osservazioni empiriche, se non precedute da assunti teorici - quandanche interpretati come semplici ipotesi di lavoro.(A scanso di equivoci, "blogstar italica" è un riconoscimento alla qualità ed al seguito del tuo blog.)
Lamiadestra: rispondo a stretto giro di post(a) a questo commento ed alla tua domanda originale.
Libertyfirst: a te non dico nulla, perché siamo sostanzialmente d'accordo e perché ci manca solo che qualcun altro si metta a provocarti! ;-D
Massimiliano, riepiloghiamo rapidamente, poiché credo che Andrea Asoni abbia già detto tutto. La scuola austriaca non è un'ideologia? Come possiamo definirla, un insieme di assunti, assiomi, precetti, comandamenti? Da tali premesse DEVONO discendere confronti con la realtà fattuale. E come misuri tali assunti teorici? Con verifiche empiriche, tutto lì. La verifica empirica disconferma l'assunto? Hai due opzioni: o formuli meglio la teoria o affermi che le osservazioni empiriche non vanno bene, perché sono probabilistiche ed altro. Nel secondo caso io lo chiamo dogmatismo, poi fate vobis...
Provocarmi? Sono io che sono sempre tentato di chiedere scusa perchè porto le discussioni ad un livello morbosamente astratto e del tutto incomprensibile. :-)
A me la discussione serve: sono dieci giorni impelagato proprio su questo argomento (tra un fallimento bancario e un altro) e solo ora mi sembra di avere le idee chiare.
Diciamo che la discussione si è fermata ad una doppia petitio principii: chi afferma che la corroborazione empirica racchiude il segreto della scienza e chi che non è così.
Ai primi faccio notare la contraddizione performativa del dare un criterio filosofico di validità scientifica e poi criticare gli altri criteri. Logica vorrebbe che se si vuole difendere una tesi che non è empirica, non ci si può dichiarare schiettamente empiristi. La riflessione razionale su questo argomento farebbe venir fuori che ogni visione della scienza è basata su assunti a priori, e che il positivismo è l'equivalente logico della strategia dello struzzo: nascondere la testa sotto la sabbia e illudersi che non ci sono problemi. Ogni riferimento ai fatti è solo question begging.
Ai secondi faccio notare che finora non s'è capito del tutto cosa dicano Mises e Rothbard a riguardo di questo e quell'altro. Nel mio ultimo post ho fatto un esempio semplicissimo (la purchasing power parity) che mi sembra incontrovertibile di problema nel paradigma falsificazionista. Nell'ultimo post di Trovato la distinzione fondamentale tra Teoria e Storia è poi finalmente sottolineata. Quello che ancora manca è forse qualche esempio convincente del perchè si ritiene che qualcosa non va o meno nella falsificazione empirica e nel formalismo matematico. La prima cosa ho provato a farla io. La seconda latita ma ho qualcosa da dire su questo.
Un'altra cosa che si dovrebbe fare è mostrare come tali distinzioni filosofiche siano rilevanti e non sono parolai fini a sè stessi. Io credo che siano importanti, ma senza un argomento a riguardo la discussione è incompleta.
Fatte queste tre cose, che in parte sono state fatte, l'argomento Austriaco passa dallo stato di dichiarazione (question begging) a quello di argomento. Sarebbe interessante che anche il positivismo facesse questo passaggio, ma penso che possa al massimo rifugiarsi nel pragmatismo come strategia di ripiego.
Tanto alla fine una soluzione razionale non esiste. Esistono solo quelle ragionevoli.
LF
2909.splinder.com
Cari, mi rendo conto di aver lasciato molte questioni in sospeso, essenzialmente perché questo blog non è un bignami dell'economia austriaca e si occupa d'altro. Mi premeva però sottolineare una cosa.
Può ben essere vero che la modellizzazione sia più scientifica della trattazione verbale, o che il metodo delle scienze naturali si possa esportare pacificamente nelle scienze sociali, o che la verifica empirica non trascuri più informazioni di quelle che crea, e via di questo passo, ma tutte queste opinioni vanno fondate, e non accettate acriticamente. Affermazioni come "(x) e' un intellectual device che serve solo a farci ragionare su certi aspetti e non una descrizione fedele della realta' (della quale poco ci interessiamo)" o "l'epistemologia la lasciamo ai barboni filosofi delle universita'" a me paiono pericolosamente superficiali, o, come direbbe Phastidio, dogmatiche.
Per inciso, i barboni l'economia l'hanno inventata: se la scelta è tra il filosofo morale Smith, con tutti i suoi difetti e l'economista Samuelson, personalmente, non ho dubbi.
Scusate ma io sto raccogliendo le braccia cadute, come Asoni...
Allora: mi si pone di fronte alla frase seguente
"le tasse sono un furto"
da scienziato sociale mi pongo il problema della sua FALSIFICABILITA' (Karl, Karl, anche tu stai raccogliendo le braccia, nevvero?): ovvero mi pongo il problema di costruire un metodo che potenzialmente mi mostri che le tasse non sono un furto.
Scusate ma come dovrei fare? "Le tasse sono un furto" sono un assioma di fede, esattamente cosi come "il plusvalore viene rubato dal capitalista al lavoratore" e' un assioma di fede non falsificabile di per se stesso.
invece, la seguente proposizione:
"Le tasse sul reddito seguono la legge di Laffer" e' falsificabile, poiche' posso costruire una procedura che mi permetta di mostrare come le tasse sul reddito anziche fare una U rovesciata, fanno una H a pecorina.
la differenza tra mainstream economics e scuola austriaca e' la stessa che passa tra la fisica e la chiesa cattolica, ragazzi. capisco che sia duro sentirselo dire, ma per me era una cosa scontata da anni.
Antonio Mele
Massimiliano sii buono.
Vedo che in mancanza di argomenti ci arrocchiamo sulla denigrazione retorica di alcune frasi.
In quello che ho detto non c'e' nulla di dogmatico o pericoloso (nientemeno! la critica "dogmatico" te la puoi tenere visto che sono io quello che ti ha spiegato la differenza tra dogma e scienza; quella di pericoloso lascia il tempo che trova e l'amaro in bocca a chi ha perso tempo a cercare di dialogare con chi non ha altro da dire che denunciare senza neanche spiegare posizioni pericolose).
Ti ho solo spiegato perche' quando si critica, si critica bene e non dando fiato alle trombe. Perche' poi qualcuno ce lo fa notare.
Aso: abbi pazienza. La questione è molto semplice. Nessuno qui ha messo in campo argomenti sostanziali. Se rileggi quanto ho scritto, ti accorgerai che il mio punto era essenzialmente, se vogliamo, un punto metametodologico: che tu lo voglia o meno, una scelta preliminare di metodo la devi fare, e l'onere della prova sull'efficacia del metodo ricade egualmente su tutte le parti in causa. Se tu ritieni che occuparti dell'epistemologia sia roba da barboni, accetta di prenderti del superficiale da chi si è posto il problema, pur in modo a te sgradito, invece di assumerlo per assodato acriticamente.
Antonio: vale quanto sopra. Può ben darsi che il falsificazionismo sia la chiave ai segreti dell'universo. Ma non puoi fare a meno di chiedertene, come minimo, il motivo, e di accertarti che ciò valga tanto nel campo delle scienze naturali quanto in quello delle scienze sociali, visto che - per dire - tra gli elementi della tavola periodica e gli esseri umani passa qualche non trascurabile differenza.
Dal momento che le posizioni in campo mi sembrano chiare, per parte mia, preferisco non insistere oltre nel dibattito. Suppongo che un modello che comparasse costo opportunità e beneficio atteso dei partecipanti confermerebbe la mia scelta scientificamente.
Boh. Si sta facendo confusione tra due problemi.
Ideologia: confusione tra fatti e valori.
Filosofia: argomenti che non sono falsificabili ma che si ritiene siano rilevanti (altrimenti è sesso degli angeli).
Nessuno qui ha affermato che la proposizione "le tasse sono un furto" abbia contenuto scientifico: si tratta appunto di un giudizio di valore morale. Non credo ci sia alcunchè di non wertfrei nelle opere di Mises e Hayek. Purtroppo tale confusione c'è, raramente in Rothbard, e frequentemente nei suoi successori, che hanno trasformato la teoria in un'ideologia, appunto.
Potrei fare diecimila esempi, ma che un giornalista come Rockwell faccia conferenze di economia invece che limitarsi a scrivere articoli scandalistici sull'Iraq è una vergogna. A questo punto date il Nobel per l'Economia a me, per mantenere le proporzioni.
La critica di Mele alla sociologia della Scuola Austriaca moderna è purtroppo fondata, ma non è una critica alla Scuola Austriaca, ma agli Austriaci contemporanei: sociologia e non metodologia.
La discussione precedente però non verteva su questo: Phastidio dice che è "ideologia" la non falsificabilità, non la confusione col libertarismo e il diritto naturale. Io dico che la falsificabilità come requisito metodologico è tanto filosofia quanto la negazione di questo assunto: nel senso di Phastidio, sono due ideologie. Non si tratta di una questione morale: è una questione di metodo. E il metodo è filosofia, non è falsificabile: quindi l'argomento di Asoni non è la soluzione. Non si sfugge dal problema metodologico con petitio principii metodologiche, nè quelle Austriache nè quelle mainstream.
E' per questo che dico: argomentiamo.
Metodo matematico: pro e contro?
Falsificabilità: possibile o difficile?
Distinzione tra teoria e storia: rilevante o irrilevante?
Mi rendo conto che il blog non è l'ambito ideale per questo tipo di analisi, ma siccome ne stiamo discutendo, tanto vale provarci.
LF
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