giovedì 10 gennaio 2008

Più cinema e meno Stato!

Il 2007 si è chiuso con il botto per il cinema in Italia. I dati fatti registrare al botteghino parlano di una settima arte che gode di buona salute. Mai negli ultimi anni (se si eccettua il 1998) gli incassi delle sale e la quota di cinema italiano sul totale dei film giunti sul grande schermo sono stati così alti. Saremo degli ottusi ottimisti ma le cose si stanno mettendo veramente bene. Nonostante ancora in questi giorni su certa stampa si cerchi di aizzare i nostri Centautori, le misure adottate in finanziaria dovrebbero portare benefici al cinema anche per i prossimi anni. Se negli Stati Uniti la cerimonia dei Golden Globe sembra dover saltare a causa dello sciopero degli autori che hanno trovato il sostegno degli attori di Hollywood, qui da noi si spera che i grandi progetti di riforma del settore rimangano nei cassetti delle scrivanie dei loro proponenti. Tax shelter e tax credit saranno più che sufficienti per spingere i nostri registi e i nostri produttori a fare film. Anzi, se una cosa si può fare (e si deve fare) è quella di eliminare il sostegno diretto dello Stato al cinema. Pertanto, basta sovvenzioni dirette e basta commissioni. Che gli sgravi fiscali siano l'unica condizione di intervento. Tutti siano aiutati allo stesso modo e chi è bravo si meriti i suoi guadagni. Sarebbe difficile potere ancora accettare un sistema così inefficiente da stanziare fondi per film che non raggiungono nemmeno le sale. In questi ultimi anni l'industria cinematografica ha saputo riorganizzarsi senza l'aiuto dello Stato. La produzione ha proposto film italiani in grado di conquistare il pubblico; la distribuzione ha fatto uscire film in periodi in cui si faceva fatica a trovarne in sala; l'esercizio ha saputo dar vita a una trasformazione del parco sale, creando moderni multiplex e cityplex costruiti proprio da imprenditori italiani. Ora allo Stato si chiede di fare un passo indietro, lasciando spazio ad una industria che può reggersi sulle proprie gambe.
Il noto economista americano Tyler Cowen (si veda il suo brillante blog: www.marginalrevolution.com) autore di un bel libro come "In praise of commercial culture" e fiero sostenitore di uno Stato non interventista in ambito culturale, ha di recente pubblicato uno studio (questo) in cui analizza in chiave comparativa il modello europeo di sostegno alla cultura e quello americano. Se il primo vede lo Stato agire in maniera diretta e corposa (si pensi solo al caso francese), il secondo ha nella mano pubblica un intervento indiretto e più discreto. Per Cowen il sistema americano risulta essere più efficiente. Non sarebbe male cominciare anche in Italia a ripensare l'intervento dello Stato, per renderlo più simile al modello a stelle e strisce. Magari cominciando dal cinema...

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