Alitalia è alle prese con il nuovo piano industriale e non a caso, non appena sono stati previsti tagli di personale e l’eliminazione dell’hub di Malpensa sono cominciati a levarsi cori di protesta di amministratori locali e scioperi bianchi dei dipendenti Alitalia.
Il piano, come analizzato nel nuovo Focus dell’Istituto Bruno Leoni, in sé ha degli elementi coraggiosi. Resta tuttavia l’incognita dell’effettiva applicazione del Piano stesso.
La ricapitalizzazione sembra ormai necessaria e il 7 Settembre se ne discuterà nel Consiglio di Amministrazione.
Il Piano sembra consegnare la compagnia di bandiera italiana, ormai un piccolo vettore regionale nel panorama del trasporto europeo, ad un grande player (Lufthansa o AirFrance). Le altre soluzioni, come quella del fondo specializzato nel salvataggio di compagnie aeree Texas Pacific Group, sembrano essere messe in secondo piano; tuttavia quando si parla di Alitalia e della sua completa privatizzazione il condizionale è d’obbligo.
La ricapitalizzazione è necessaria non solo perchè Alitalia rischia nel corso dei prossimi mesi di entrare in crisi di liquidità ma anche per potere attuare quel rinnovamento della flotta aerea che è la meno recente nel panorama delle compagnie aeree europee (circa 12 anni è l’età media della flotta Alitalia).
Ma perché è probabile che la compagnia venga venduta ad un grande player europeo?
È lo stesso piano industriale che risponde a questa domanda: l’eliminazione dell’hub di Milano Malpensa è una condizione che AirFrance aveva chiesto per partecipare, lo sviluppo della “low cost” Volareweb potrebbe integrarsi con l’olandese Transavia di proprietà della compagnia francese, lo sviluppo del charter c non entra in competizione con AirFrance e lo sviluppo dell’attività cargo da Malpensa rafforzerebbe il settore cargo AirFrance.
Inoltre Alitalia facendo parte della stessa alleanza del vettore francese ha meno sovrapposizioni di rotte e ha già una coordinazione con il code sharing.
Le sagge parole di Profumo, “Alitalia l’abbiamo difesa così bene che scomparirà come impresa italiana”, mostrano la sconfitta di tutti i governanti a voler trattare un operatore economico secondo i principi politici. Il libero mercato nel trasporto aereo è stato introdotto 10 anni fa, Alitalia ha avuto la possibilità 8 anni fa di fare un matrimonio alla pari con KLM ed oggi, a furia di difendere piccoli interessi particolari se ne decreta la fine.
Il mercato del trasporto aereo italiano, si è sviluppato così bene che ha saputo fare a meno di Alitalia e negli ultimi dieci anni ha avuto una crescita superiore a quello dei principali paesi europei.
Ho solo una grande paura: l’entrata di AirFrance potrebbe ridurre la concorrenza, soprattutto in conseguenza della riforma Bianchi del trasporto aereo che favorisce un grande player a discapito delle compagnie low cost.
Il governo francese ha permesso la nascita di un campione nazionale nel trasporto aereo sacrificando in parte lo sviluppo stesso del mercato aereo transalpino. Le low cost in Francia hanno una vita molto difficile a causa di molte barriere all’entrata messe sia da AirFrance, ma anche dai governi.
Forse sarebbe meglio prendere ad esempio l’Irlanda o la Gran Bretagna piuttosto che la Francia, come anche l’indice delle liberalizzazioni dell’Istituto Bruno Leoni dello scorso Luglio suggerisce.
Il piano, come analizzato nel nuovo Focus dell’Istituto Bruno Leoni, in sé ha degli elementi coraggiosi. Resta tuttavia l’incognita dell’effettiva applicazione del Piano stesso.
La ricapitalizzazione sembra ormai necessaria e il 7 Settembre se ne discuterà nel Consiglio di Amministrazione.
Il Piano sembra consegnare la compagnia di bandiera italiana, ormai un piccolo vettore regionale nel panorama del trasporto europeo, ad un grande player (Lufthansa o AirFrance). Le altre soluzioni, come quella del fondo specializzato nel salvataggio di compagnie aeree Texas Pacific Group, sembrano essere messe in secondo piano; tuttavia quando si parla di Alitalia e della sua completa privatizzazione il condizionale è d’obbligo.
La ricapitalizzazione è necessaria non solo perchè Alitalia rischia nel corso dei prossimi mesi di entrare in crisi di liquidità ma anche per potere attuare quel rinnovamento della flotta aerea che è la meno recente nel panorama delle compagnie aeree europee (circa 12 anni è l’età media della flotta Alitalia).
Ma perché è probabile che la compagnia venga venduta ad un grande player europeo?
È lo stesso piano industriale che risponde a questa domanda: l’eliminazione dell’hub di Milano Malpensa è una condizione che AirFrance aveva chiesto per partecipare, lo sviluppo della “low cost” Volareweb potrebbe integrarsi con l’olandese Transavia di proprietà della compagnia francese, lo sviluppo del charter c non entra in competizione con AirFrance e lo sviluppo dell’attività cargo da Malpensa rafforzerebbe il settore cargo AirFrance.
Inoltre Alitalia facendo parte della stessa alleanza del vettore francese ha meno sovrapposizioni di rotte e ha già una coordinazione con il code sharing.
Le sagge parole di Profumo, “Alitalia l’abbiamo difesa così bene che scomparirà come impresa italiana”, mostrano la sconfitta di tutti i governanti a voler trattare un operatore economico secondo i principi politici. Il libero mercato nel trasporto aereo è stato introdotto 10 anni fa, Alitalia ha avuto la possibilità 8 anni fa di fare un matrimonio alla pari con KLM ed oggi, a furia di difendere piccoli interessi particolari se ne decreta la fine.
Il mercato del trasporto aereo italiano, si è sviluppato così bene che ha saputo fare a meno di Alitalia e negli ultimi dieci anni ha avuto una crescita superiore a quello dei principali paesi europei.
Ho solo una grande paura: l’entrata di AirFrance potrebbe ridurre la concorrenza, soprattutto in conseguenza della riforma Bianchi del trasporto aereo che favorisce un grande player a discapito delle compagnie low cost.
Il governo francese ha permesso la nascita di un campione nazionale nel trasporto aereo sacrificando in parte lo sviluppo stesso del mercato aereo transalpino. Le low cost in Francia hanno una vita molto difficile a causa di molte barriere all’entrata messe sia da AirFrance, ma anche dai governi.
Forse sarebbe meglio prendere ad esempio l’Irlanda o la Gran Bretagna piuttosto che la Francia, come anche l’indice delle liberalizzazioni dell’Istituto Bruno Leoni dello scorso Luglio suggerisce.
1 commento:
Personalmente mi accosto ad Andrea per il timore Francia. Come si evince dallo studio IBL targato Giuricin, l'ambiente competitivo francese è ovattato, la compagnia di bandiera gode di un'eccessiva indipendenza dai competitori. In Italia, invece, il mercato funziona meglio: nonostante i goffi tentativi di intervento, Alitalia sta cadendo in picchiata. Dunque, se l'unico hub italiano rimarrà quello di Fiumicino, condizione posta da Air-France per la sua partecipazione al salvataggio, potrebbe sorgere un operatore a rischio "leverage" dalle macerie del precedente. Ossia, un soggetto sano ed in grado di mettere in pratica una concorrenza sleale - e dunque dannosa - per riempire i cieli italiani, facendo leva sulle eccedenze provenienti dal mercato domestico.
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