Capita - soprattutto di recente - di interrogarsi sul perchè alcune persone percepiscano il mercato come pericoloso, minaccioso, un'entità della quale prevenire la nascita. Qualcuno cerca di far compiere al Paese un - per quanto piccolo - passo verso un più corposo grado di libertà (economica) individuale, e subito scoppia un putiferio. La motivazione è la solita: per via di un distorto processo di sviluppo, alcuni settori si trovano in condizioni di assenza di concorrenza ed in presenza di elevate barriere all'ingresso, cosa che preclude la possibilità a nuovi soggetti economici di fare il proprio ingresso nel mercato; garantendo l'artificiale sopravvivenza di sacche di inefficienza e profitti iniqui ai pochi eletti che compongono il gruppo, e socializzando questi costi nei confronti dei consumatori (prezzi più elevati, servizi qualitativamente inferiori, ecc.). Per sradicare lo status quo è sempre necessario che qualcuno paghi. Non è possibile innescare meccanismi pro-competitivi a costo zero, o almeno non al di fuori dei testi di economia. Per raggiungere quello che viene considerato dai più un livello di benessere superiore e maggiormente diffuso, è necessario che gli attori dei mercati coinvolti si facciano carico del peso della propria inefficienza. Così, quando dall'alto arriva una lenzuolata, svegliandosi dal torpore dell'assenza di competizione, si scopre che i propri beni e servizi possono essere forniti alla domanda a prezzi molto più bassi e ad una migliore qualità. Il problema è che la sedimentazione delle inefficienze è un processo alimentato dall'assenza di pressione concorrenziale, e finanziato dalle rendite oligopolistiche che ne derivano. Tale fatto dovrebbe farci riflettere.
Prendendo l'esempio dei tassisti, il sistema nel quale ognuno di loro, a suo tempo, decise di entrare, imponeva l'acquisto di una licenza ad un prezzo superiore ai 100 000 euro. Tutti, eseguendo calcoli più o meno razionali, hanno deciso di sostenere tale esborso monetario, in vista di un livello di entrate sufficiente a farvi fronte. Spunta l'idea di liberalizzare. Valore della licenza e dei profitti attesi in caso affermativo: zero. I tassisti si sarebbero trovati con un pezzo di carta privo di valore in una mano e un mutuo non più sostenibile nell'altra. Unica alternativa la rivolta. Alla fine dei giochi il sistema è ancora in piedi e, giornalmente, i consumatori, pagando gli elevatissimi prezzi delle corse, fanno in modo che il circolo vizioso continui. Tale esempio potrebbe essere generalizzato ed steso a tutti i casi di mercati toccati (purtroppo solo) dall'idea di liberalizzazione.
Cosa dovrebbe rimanerci dall'analisi di questi fatti? Che il concetto di mercato è utopico, bello ma non sempre realizzabile? Non credo, escludendo quei casi ove per scelta politica il mercato viene lasciato in disparte (sanità, istruzione, ecc.), o dove fisicamente questo non possa esistere (monopoli naturali), per tutti gli altri - e sono tanti - bisogna perseverare e non arrendersi di fronte ai fallimenti incorsi. Ciò che occorre fare è rivedere il modo di pensare gli interventi, per renderli più sopportabili nei confronti di quei soggetti che, altrimenti, dovrebbero farsi carico dei costi di un sitema che il più delle volte non hanno ideato, ma solo inconsapevolmente (seppur razionalmente) sfruttato. Il fatto che un mercato sia più contendibile genera benefici per la collettività, fare in modo che questo lo diventi effettivamente comporta costi per chi il mercato già lo occupa. Il punto è: se è vero che a livello teorico sarebbe giusto che quei soggetti che nel tempo hanno accumulato profitti a danno della società, finalmente pagassero e venissero travolti dalla prepotenza della concorrenza, restituendo al mercato ciò che gli spetta; dall'altro abbiamo visto che la nèmesi è, in alcune situazioni, irrealizzabile.
E' poi opinabile anche il fatto che gli attuali venditori siano gli unici colpevoli della situazione presente. Io propendo più per una soluzione diluita, gli offerenti attuali sono certamente colpevoli, ma lo sono allo stesso modo anche tutti quelli passati, che con il loro operare hanno contribuito a generare le inefficienze presenti. Perciò, seguendo la linea ortodossa con inclinazione certosina, anche i modelli teorici di nèmesi che tutti conosciamo potrebbero vacillare.
Per tornare all'esempio dei taxi, e chiudere: invece di accanirsi nel tentativo di liberalizzazione frontale (fermandosi al più, a metà del dannatissimo guado), non potrebbe essere - se anche teoricamente non corretto - più efficace tentare di aprire l'offerta da un lato, e di introdurre un meccanismo "ammortizzante" che preveda la socializzazione di parte dei costi delle licenze dall'altro? In tal modo i tassisti attuali sarebbero più disposti a mandar giù la pillola e si avrebbero maggiori probabilità di interrompere quel circolo di cui sopra. Nel ponderare la proposta, occorre tenere a mente l'entità dei costi che a livello sociale il mantenere in vita un sistema come quello dei taxi comporta: ossia il perpetuarsi di prezzi elevati e l'eccessiva scarsità delle forniture, contro un esborso monetario - la quota delle licenze - una tantum.
1 commento:
Alessandro Iaria ha centrato un punto cruciale. Il problema è la transizione: come arrivare ad una situazione di mercato, partendo da realtà che di mercato non sono. Alcuni anni fa avevamo proposto un'idea fra il serio ed il faceto: fare crescere il numero di licenze dei taxi, "regalandone" una a chi già ne deteneva una (il copyright della proposta è di Franco Romani, grande economista e persona per bene). Così facendo, teoricamente la corporazione potrebbe continuare a limitare l'offerta, ma i singoli tassiti avrebbero un incentivo tangibile a scambiare la licenza in più con danaro, che in qualche modo li risarcirebbe dell'erosione del valore della licenza che avevano precedentemente acquistato, dovuto all'aumento di numero di permessi di circolazione. A me continua sembrare un'idea mica male.
Ci sono però settori nei quali la rendita di cui gli attuali garantiti godono è talmente scandalosa (vedi alla voce "farmacisti"), che forse proponendo strategie di compensazione si fa una doppia ingiustizia.
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