Il giorno del giudizio per Microsoft è dunque arrivato. Ed è un giudizio tutt’altro che benevolo. Il Tribunale di Primo Grado dell’Unione Europea, esprimendosi sulla decisione del 2004 con cui la Commissione sanzionava il colosso di Redmond per abuso di posizione dominante, ha avallato pressoché integralmente le misure prese dall’allora commissario Mario Monti. In particolare, il giudice d’appello ha confermato la scenografica multa di 497 milioni di euro, ma – quel che è più grave – non ha sentito l’esigenza di portare alcuna innovazione ai due motivi al cuore del provvedimento del 2004.
In primo luogo, viene mantenuto l’obbligo di licenziare ai concorrenti le porzioni del codice sorgente di Windows che governano i protocolli di comunicazione – così da rimuovere gli ostacoli alla completa interoperabilità tra il sistema operativo ed il software dei concorrenti. La contraddizione con il ruolo riservato alla tutela della proprietà intellettuale in numerosi documenti UE è del tutto evidente. Ma v’è qualcosa di più: non si tratta tanto d’affermare la paternità di qualcosa che già noto, opzione la cui legittimità è invero ampiamente dibattuta, ma semplicemente di rispettare la libertà degli individui – e per estensione delle imprese – di tenere alcune informazioni per sé. Come è stato detto, parliamo della libertà dello chef di preservare i segreti delle proprie creazioni. Insomma, è questa una misura che ha più del rapimento di persona che non della vigilanza sulla concorrenza.
In secondo luogo, inoltre, la software-house dovrà continuare a distribuire copie di Windows sguarnite del lettore multimediale di famiglia, in modo tale da non intralciare l’emersione d’una concorrenza apprezzabile nel settore. Peccato che un espediente del genere contrasti, ancora una volta, con i fondamenti della teoria economica ed in particolare con un’adeguata comprensione della funzione imprenditoriale: che è proprio quella d’innovare, dando voce e venendo incontro ai desideri dei consumatori ed alle loro esigenze, ad esempio attraverso l’ideazione di nuovi prodotti o l’integrazione di nuove funzioni in quelli già esistenti.
Ciò non bastasse, si comparino le statistiche di vendita del Windows evirato ed il gradimento – per dire – di un programma come iTunes, irrinunciabile complemento del fenomeno iPod, o di un software versatile come Flash, che risiede alle fondamenta del frequentatissimo Youtube e dei suoi svariati emuli. Alla luce di tale confronto, si può affermare che il provvedimento sia stato inutile. Ma questa è solo la migliore delle ipotesi, perché tale giudizio trascura le implicazioni sul piano degl’incentivi all’innovazione. È poi utile osservare come la presa di posizione della Commissione tradisca la sempre più evidente trasfigurazione del diritto della concorrenza da strumento di tutela per i consumatori a ciambella di salvataggio per le imprese sconfitte.
Insomma, quella appena scritta a Bruxelles non è una bella pagina per l’Europa, che avrebbe bisogno di un’iniezione di liberismo e non della consueta dose di dirigismo in salsa brussellese: come ha ricordato Alberto Mingardi, “non si diventa l’economia basata sulla conoscenza più dinamica al mondo, come affermano gli obiettivi di Lisbona, se diritto e politica ignorano mercati e innovazione”.
* Il titolo del post è un plagio di questo paper di Roberto Pardolesi ed Andrea Renda. Hat tip: Rosamaria Bitetti.
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