Poste ricche a spese nostre
di Luca PianaUn risanamento straordinario, un caso più unico che raro tra le aziende statali. E' questa l'immagine delle Poste italiane che anno dopo anno viene consegnata all'opinione pubblica. La vulgata si basa sui numeri esibiti in bilancio. Quando, nel 1998, l'Ente Poste venne trasformato in società per azioni perdeva l'equivalente di 1,3 miliardi di euro. Otto anni più tardi, il 2006 si è chiuso con un utile netto di 483 milioni, un valore che sale a 676 milioni se si considera anche Poste Vita, la compagnia assicurativa inclusa nei conti consolidati soltanto dal 2005.
In un Paese dove alcuni vecchi monopoli come l'Alitalia o le Ferrovie appaiono in perenne emergenza, un'impresa interamente in mano pubblica capace di non dare troppi grattacapi rappresenta un caso degno di nota. Così l'attuale amministratore delegato, Massimo Sarmi, in sella dal 2002, può vantare il primato delle "Poste più redditizie d'Europa", come ha fatto di recente. Se però si scava dietro i risultati emergono alcune sorprese che contrastano con l'immagine di azienda sempre più votata al mercato. L'Istituto Bruno Leoni di Torino, un centro studi nato nel 2003 per promuovere la cultura del libero mercato, ha effettuato un'analisi per individuare i fattori che hanno reso possibile la rivoluzione delle Poste. L'obiettivo era comprendere perché il settore resti uno dei meno liberalizzati, a meno di due anni dalla completa apertura imposta dall'Unione europea dal gennaio 2009.
Nello studio curato da Ugo Arrigo, professore di Economia pubblica all'Università Milano Bicocca, sono stati confrontati i bilanci della capogruppo (che comprende le due principali attività, il recapito posta e il Bancoposta) a partire dalla trasformazione in società per azioni. Due dati colpiscono più di tutto. Primo: dal 1998 a oggi i ricavi dell'azienda che derivano dal settore pubblico sono passati dal 30,8 al 38,7 per cento del totale. Secondo: dietro il consistente boom dei proventi registrati dalla società (più 60 per cento), c'è soprattutto lo Stato, visto che i ricavi dal settore pubblico sono raddoppiati (più 100,7 per cento, a 3,5 miliardi) mentre quelli del privato sono aumentati del 41,8 per cento (a 5,6 miliardi di euro).
La mano protettiva dello Stato si fa sentire su entrambi i fronti. Nel recapito della corrispondenza l'aumento più consistente (più 92,5 per cento, a 703 milioni di euro) è infatti quello segnato dai contributi a fondo perduto per garantire la consegna delle lettere sul territorio nazionale, dalle agevolazioni per l'editoria e le organizzazioni non profit, nonché dagli aiuti ai candidati alle elezioni, che possono spedire i loro volantini a poco prezzo. "Ricordo che questi ultimi, quando nel 1997 ero consulente del Tesoro, riuscimmo ad abolirli. Vennero immediatamente ripristinati dopo le prime elezioni, quando i partiti si resero conto di quel che era accaduto", racconta Arrigo.
Per l'attività bancaria non c'è dubbio che l'offerta di servizi rivolti al grande pubblico abbia avuto grande successo. Negli otto anni presi in considerazione i proventi generati dai conti correnti e dagli altri servizi sono più che raddoppiati, salendo a 910 milioni. A una velocità quasi uguale, però, sono cresciute anche le commissioni pagate al Bancoposta dal settore pubblico per la raccolta sui conti correnti postali, quella in favore della Cassa depositi e prestiti e i servizi statali. Voci che, in valore assoluto, ancora oggi contano di più: 1,4 miliardi.
L'immagine delle Poste che deriva dall'analisi di Arrigo è, dunque, quella di un'azienda paradossalmente più protetta dalla concorrenza, che può andare a caccia in nuovi territori grazie alle munizioni garantite dallo Stato. Il sospetto legittimo è che lo strabiliante risanamento, iniziato sotto la guida di Corrado Passera e terminato da Sarmi, sia stato in realtà pagato con i soldi dei contribuenti, grazie alle tariffe decise dallo Stato. E' vero che il risultato non sarebbe stato raggiunto senza i tagli ai dipendenti, che all'inizio degli anni Novanta erano circa 230 mila e nel 2004 erano scesi a 153 mila (nell'ultimo bienno si registra però un'inversione di tendenza). Allo stesso tempo, sostiene Arrigo, il boom dei ricavi che ha trasformato le Poste in una sorta di slot machine dalla vittoria assicurata è stato però realizzato per oltre due terzi attraverso aumenti di tariffe e commissioni. Una strategia favorita da un'assenza sostanziale di concorrenza alla quale i governi che si sono susseguiti hanno fornito molti puntelli, a cominciare dalla revoca delle concessioni alle agenzie che fino al '99 operavano nel recapito cittadino. Lo studio dell'Istituto Bruno Leoni si conclude così con un'osservazione. Il 1998 fu l'ultimo anno in cui l'Alitalia registrò un buon utile di bilancio, ma segnò anche l'apertura alla concorrenza dei cieli europei. Se alla compagnia aerea fossero state garantite le condizioni protette delle Poste, forse oggi non sarebbe sull'orlo del baratro. Ma il costo del suo sostentamento l'avrebbero pagato i contribuenti. Come è accaduto alle Poste.
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