Alitalia è oramai sull’orlo del fallimento. Forse non tutti lo hanno capito, ma gestione politico-sindacale dell’azienda pubblica secondo criteri non di mercato-efficienti ha svuotato di valore la compagnia di bandiera italiana.
Negli ultimi 11 anni, dalla liberalizzazione europea, il mercato passeggeri italiano è più che raddoppiato e sicuramente non grazie ad Alitalia. La debolezza del vettore in crisi, ha paradossalmente aiutato i concorrenti a svilupparsi con meno barriere all’ingresso nel mercato aereo italiano.
La mia critica al piano di riforma del trasporto aereo del ministro dei trasporti Bianchi puntava sul fatto che, per salvare Alitalia, si voleva diminuire la concorrenza nel mercato. Distruggere le altre compagnie per salvare il nostro campione regionale è una visione molto singolare…
Gli altri vettori, in gran parte stranieri, sono quelli che hanno permesso al mercato italiano di svilupparsi, seguendo criteri di mercato e non fini politici.
AirFrance ha fatto l’unica offerta seria, offrendo non pochi soldi per una compagnia dal valore molto limitato. Il ministro dell’economia e delle finanze, azionista di riferimento di Alitalia, è in posizione di debolezza di fronte ai francesi, poiché se la trattativa non si riaprisse, probabilmente si andrebbe verso il commissariamento della compagnia (oltretutto in piena campagna elettorale).
I quindici mesi impiegati per la privatizzazione (necessaria ma ritardata di anni) sono un altro tipico male italiano. Le resistenze politico-sindacali, le clausole, l’italianità sono stati freni che hanno rallentato un processo di privatizzazione per un’azienda che aveva perso 3 miliardi di Euro in nove anni, sempre ricapitalizzati a spese dei contribuenti.
L’offerta dei barbari galli aveva ed ha un unico punto di debolezza, sul quale il Governo non dovrebbe transigere: il mantenimento della posizione di rendita monopolistica nelle tratte intercontinentali dall’Italia per AirFrance.
La clausola in questione è questa: “rilascio di un impegno scritto da parte della competente Autorità governativa a mantenere il portafoglio attuale dei diritti di traffico di Alitalia, a continuare a gestire con modalità trasparenti e non discriminatorie ogni futura richiesta da parte di Alitalia per nuovi diritti di traffico ed a fornire cooperazione ed assistenza nel caso di insorgenza di difficoltà relative ai diritti di traffico di Alitalia con Paesi extra comunitari”.
Come già ricordato in un comunicato dell’Istituto Bruno Leoni, questo punto non chiude la possibilità al governo di un’apertura del mercato, ma evidenzia la volontà dei francesi di voler mantenere lo status quo di Alitalia. L’apertura delle rotte intercontinentali non è necessaria solamente per il rilancio dell’aeroporto di Malpensa, in modo che l’aeroporto sia in grado di trovare sul mercato nuove compagnie che sviluppino vi operino, ma soprattutto per consolidare la crescita del mercato del trasporto aereo italiano. Molte compagnie aeree stanno posizionando loro aerei sullo scalo varesino e molte altre se ne potrebbero aggiungere nel caso si liberalizzino completamente le rotte intercontinentali.
Credo sia comprensibile ma non condivisibile da parte dei francesi ottenere una fonte di profitto certa; d’altronde sono un’azienda che risponde a degli azionisti che hanno l’obiettivo di massimizzare il profitto.
L’obiettivo primario per il governo deve essere la piena liberalizzazione dei cieli e non il salvataggio a tutti i costi del vettore italiano.
Per troppo tempo, il nord politico-imprenditoriale, teoricamente liberista, si è fossilizzato per chiedere una moratoria di tre anni sui voli da Malpensa, sottointeso a carico del contribuente (non vedo altri attori di mercato disposti a versare 200 milioni di Euro l’anno), invece di puntare tutta l’attenzione sulla liberalizzazione dei voli. Certo se ne parlava, ma guardando i titoli dei quotidiani degli scorsi mesi i proclami erano “moratoria per Malpensa!”.
L’affermazione “Alitalia non vale il mercato” dunque significa che il piccolo vettore regionale di bandiera italiana, che ha il 3 per cento della quota di mercato passeggeri europeo non deve essere salvato a tutti i costi, neanche con soldi privati, se questi investitori pretendono la continuazione di un monopolio.
Se fosse vero il “confidential agreement” tra ENAC e Alitalia del 14 Marzo del 2008, svelato dal Financial Times il 1° Aprile, che di fatto bloccherebbe la liberalizzazione intercontinentale, sarebbe la conferma che si vuole salvare Alitalia per l’ennesima volta a carico dei consumatori.
Non si può sacrificare il mercato per salvare un’azienda gestita in maniera fallimentare dalla classe politico-sindacale.
Negli ultimi 11 anni, dalla liberalizzazione europea, il mercato passeggeri italiano è più che raddoppiato e sicuramente non grazie ad Alitalia. La debolezza del vettore in crisi, ha paradossalmente aiutato i concorrenti a svilupparsi con meno barriere all’ingresso nel mercato aereo italiano.
La mia critica al piano di riforma del trasporto aereo del ministro dei trasporti Bianchi puntava sul fatto che, per salvare Alitalia, si voleva diminuire la concorrenza nel mercato. Distruggere le altre compagnie per salvare il nostro campione regionale è una visione molto singolare…
Gli altri vettori, in gran parte stranieri, sono quelli che hanno permesso al mercato italiano di svilupparsi, seguendo criteri di mercato e non fini politici.
AirFrance ha fatto l’unica offerta seria, offrendo non pochi soldi per una compagnia dal valore molto limitato. Il ministro dell’economia e delle finanze, azionista di riferimento di Alitalia, è in posizione di debolezza di fronte ai francesi, poiché se la trattativa non si riaprisse, probabilmente si andrebbe verso il commissariamento della compagnia (oltretutto in piena campagna elettorale).
I quindici mesi impiegati per la privatizzazione (necessaria ma ritardata di anni) sono un altro tipico male italiano. Le resistenze politico-sindacali, le clausole, l’italianità sono stati freni che hanno rallentato un processo di privatizzazione per un’azienda che aveva perso 3 miliardi di Euro in nove anni, sempre ricapitalizzati a spese dei contribuenti.
L’offerta dei barbari galli aveva ed ha un unico punto di debolezza, sul quale il Governo non dovrebbe transigere: il mantenimento della posizione di rendita monopolistica nelle tratte intercontinentali dall’Italia per AirFrance.
La clausola in questione è questa: “rilascio di un impegno scritto da parte della competente Autorità governativa a mantenere il portafoglio attuale dei diritti di traffico di Alitalia, a continuare a gestire con modalità trasparenti e non discriminatorie ogni futura richiesta da parte di Alitalia per nuovi diritti di traffico ed a fornire cooperazione ed assistenza nel caso di insorgenza di difficoltà relative ai diritti di traffico di Alitalia con Paesi extra comunitari”.
Come già ricordato in un comunicato dell’Istituto Bruno Leoni, questo punto non chiude la possibilità al governo di un’apertura del mercato, ma evidenzia la volontà dei francesi di voler mantenere lo status quo di Alitalia. L’apertura delle rotte intercontinentali non è necessaria solamente per il rilancio dell’aeroporto di Malpensa, in modo che l’aeroporto sia in grado di trovare sul mercato nuove compagnie che sviluppino vi operino, ma soprattutto per consolidare la crescita del mercato del trasporto aereo italiano. Molte compagnie aeree stanno posizionando loro aerei sullo scalo varesino e molte altre se ne potrebbero aggiungere nel caso si liberalizzino completamente le rotte intercontinentali.
Credo sia comprensibile ma non condivisibile da parte dei francesi ottenere una fonte di profitto certa; d’altronde sono un’azienda che risponde a degli azionisti che hanno l’obiettivo di massimizzare il profitto.
L’obiettivo primario per il governo deve essere la piena liberalizzazione dei cieli e non il salvataggio a tutti i costi del vettore italiano.
Per troppo tempo, il nord politico-imprenditoriale, teoricamente liberista, si è fossilizzato per chiedere una moratoria di tre anni sui voli da Malpensa, sottointeso a carico del contribuente (non vedo altri attori di mercato disposti a versare 200 milioni di Euro l’anno), invece di puntare tutta l’attenzione sulla liberalizzazione dei voli. Certo se ne parlava, ma guardando i titoli dei quotidiani degli scorsi mesi i proclami erano “moratoria per Malpensa!”.
L’affermazione “Alitalia non vale il mercato” dunque significa che il piccolo vettore regionale di bandiera italiana, che ha il 3 per cento della quota di mercato passeggeri europeo non deve essere salvato a tutti i costi, neanche con soldi privati, se questi investitori pretendono la continuazione di un monopolio.
Se fosse vero il “confidential agreement” tra ENAC e Alitalia del 14 Marzo del 2008, svelato dal Financial Times il 1° Aprile, che di fatto bloccherebbe la liberalizzazione intercontinentale, sarebbe la conferma che si vuole salvare Alitalia per l’ennesima volta a carico dei consumatori.
Non si può sacrificare il mercato per salvare un’azienda gestita in maniera fallimentare dalla classe politico-sindacale.
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