venerdì 1 febbraio 2008

La liberalizzazione postale e i misteriosi costi del servizio universale

Il Parlamento europeo ha dato ieri la sua approvazione alla direttiva che prevede la definitiva abolizione del monopolio postale, già limitato dal 2005 alle corrispondenze con peso non superiore ai 50 grammi e con tariffa non superiore a 2,5 volte quella base (in Italia 1,5 euro). Notizia ottima e da festeggiarsi con l'apertura di vini pregiati, ma offuscata tuttavia da alcune residue incrostazioni protezioniste:
  • la data prevista per la piena liberalizzazione non è più il 1° gennaio 2009, inizialmente proposta dalla Commissione U.E. ma il 2011, come voluto nello stesso Parlamento da un'ampia e trasversale maggioranza, timorosa dei possibili effetti 'nocivi' della concorrenza sulle imprese pubbliche già monopoliste e poco attenta ai più generali interessi dei consumatori, siano essi individui o imprese;
  • permangono strumenti per la tutela del cosiddetto 'servizio universale' potenzialmente a rischio di distorsione per un'effettiva concorrenza ad armi pari, quali la possibilità di sovvenzioni pubbliche in favore dell'impresa che garantisce l'universalità o l'attivazione di fondi di compensazione con oneri a carico delle imprese concorrenti;

Il ragionamento che giustifica questi strumenti è sostanzialmente il seguente: poichè il servizio postale è essenziale per qualsiasi cittadino o impresa, indipendentemente dalla sua collocazione geografica, allora è necessario garantirne l'offerta su tutto il territorio, comprese le aree periferiche a bassa densità di popolazione che non verrebbero probabilmente servite da imprese operanti secondo logiche puramente di mercato. In astratto è un'ipotesi possibile anche se poco probabile; sarebbe tuttavia sufficiente attendere il suo verificarsi per porre un rimedio specifico. Se Poste Italiane comunica che non intende più recapitare nel Comune rurale X, allora un'agenzia pubblica dovrebbe provvedere ad attivare un servizio sostitutivo al costo minimo possibile (ad esempio attraverso una gara).

Sinora, invece, il meccanismo ha funzionato nel seguente modo: (a) il regolatore pubblico del mercato postale ha chiesto al regolato, di proprietà totalmente pubblica: 'scusi, quanto perde complessivamente nella aree non remunerative?'; (b) il regolato ha risposto (nel 2006): 611 milioni di euro (corrispondenti a 10 centesimi di perdita media per oggetto postale, ovunque sia stato recapitato, e al costo del lavoro complessivo di ben 18 mila portalettere); (c) a questo punto il regolatore ha chiesto al regolato: 'dia incarico, con oneri a suo carico, ad una società di certificazione di attestare che quanto afferma corrisponde al vero'; (d) infine, dato che la società assunta, ha certificato, e in assenza di ulteriori e autonome valutazioni, sono stati dati 370 milioni di euro (molto meno di quanto richiesto in considerazione delle note cattive condizioni della finanza pubblica).

Morale della favola: è davvero possibile credere che l'onere del servizio universale pesi per il 100% del costo del lavoro di 18 mila postini o, se si preferisce, per il 40% del costo del lavoro di tutti i 43 mila postini che lavorano in Poste Italiane? Molto difficile a credersi, ma allora viene il sospetto che dietro la tutela del consumatore periferico, il classico esempio della vecchina che abita in cima alla montagna, si nasconda ancora una volta la protezione dell'operatore dominante, già monopolista. Non è che la vecchina in cima alla montagna è in realtà il vertice mascherato dell'azienda pubblica e la corrispondenza che deve ricevere è l'assegno da 611 milioni spedito dal Ministro dell'Economia e Finanze? L'arrivo della concorrenza potrebbe svelare il mistero, con grande gioia del contribuente-spettatore.

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