domenica 16 marzo 2008

Vi sono rimedi alla razionale inefficienza della P.A. italiana?

Nel capitolo sulla P.A. del Manuale delle riforme dell'IBL ho sostenuto che l'inefficienza del nostro settore pubblico (consistente nel produrre meno e peggio di ciò che sarebbe possibile sulla base delle risorse impiegate e dei costi sostenuti) non è un fenomeno irrazionale, un errore gestionale, bensì la conseguenza sistematica del controllo che la politica/i partiti hanno sulla pubblica amministrazione.
Mentre le imprese private operanti sui mercati hanno necessità di comportarsi in maniera efficiente, di minimizzare i costi di produzione per poter remunerare attraverso il profitto i loro azionisti, le organizzazioni pubbliche sono obbligate dai politici che le controllano a sovradimensionare i fattori produttivi impiegati per permettere un uso discrezionale di quelli acquisiti in eccesso rispetto alle esigenze degli effettivi livelli produttivi (l'esempio più ovvio è l'assunzione di nullafacenti con tessera di partito). Pertanto, mentre nelle imprese è l'efficienza costo la fonte della remunerazione di chi le controlla, nelle organizzazioni pubbliche è l'inefficienza.
Se le organizzazioni pubbliche fossero efficienti, esse avvantaggerebbero i loro proprietari (i cittadini contribuenti) attraverso una minore pressione fiscale. I cittadini, tuttavia, non controllano le organizzazioni mentre coloro che lo fanno, i politici, non dispongono di diritti proprietari in grado di permettere una distribuzione ex post di dividendi; pertanto se desiderano 'remunerarsi' debbono farlo sottraendo o distogliendo risorse durante la gestione.
La causa appena indicata dell'inefficienza del settore pubblico implica un rimedio preciso: separare nettamente il ruolo della politica (che è quello di gestire il trade off tra i possibili obiettivi delle politiche pubbliche, di scegliere tra un menu di soluzioni realizzabili) e quello dell'amministrazione (che è di usare efficacemente le risorse a disposizione per realizzare le soluzioni che la politica ha scelto). Si può spiegare meglio con una metafora: il ruolo della politica è esattamente quello di un capocomitiva ad una gita, indicare la meta desiderata dai gitanti; il ruolo del capo dell'amministrazione è esattamente quello dell'autista dell'autobus. Se il capocomitiva si mette alla guida del pullman o pretende di scegliere un autista senza patente solo perchè gli è fedele, simpatico o pensa che gli permetterà tutte le soste e le deviazioni desiderate, gli esiti prevedibili sono disastrosi.
La separazione netta tra politica e amministrazione, congiunta ad una impermeabilizzazione dell'amministrazione alle pressioni illegittime della politica, è realizzabile attraverso tre provvedimenti:
1) Deministerializzare la spesa pubblica, togliendo il portafoglio a tutti i Ministeri. I Ministeri dovrebbero essere costituiti solo da: il gabinetto del Ministro, l'ufficio legislativo e un ufficio studi. I Ministeri avrebbero il compito esclusivo di proporre/definire le regole e proporre al Governo/Parlamento il budget per ogni specifica politica.
2) Il budget verrebbe invece affidato ad apposite agenzie di spesa, guidate da dirigenti di carriera, e caratterizzate da unicità di obiettivi (ad esempio, nel caso dell'Università, ad un'Agenzia per l'istruzione universitaria col compito di assegnare borse agli studenti per permetterne l'iscrizione ad Atenei estromessi dal recinto delle amministrazioni pubbliche, pur se organizzati sotto forme ancora pubblicistiche).
3) E' necessario attivare un'adeguata 'scuola guida' per gli autisti delle amministrazioni pubbliche.
Questa proposta riscuoterà ovviamente unanimità di dissensi tra le nostre forze politiche, tuttavia dovrebbe essere chiaro ai partiti che un settore pubblico efficiente è una condizione irrinunciabile per consentire al paese risultati adeguati nella competizione internazionale. Per rendere efficiente il settore pubblico è tuttavia necessario che siano dei 'tecnici' a guidare l'autobus, ovviamente verso le destinazioni che i politici avranno scelto in rappresentanza dei cittadini.
Se i partiti desiderano effettivamente far fare all'Italia qualche passo in avanti dovrebbero accettare di fare qualche passo indietro.

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