Tempo fa, un noto quotidiano nazionale riportava un preoccupante passaggio di un’intervista fatta ad Helmut Kohl. Alla domanda del giornalista su cosa fosse per lui uno Stato socialista, l’ex cancelliere tedesco rispose dicendo che, quando uno Stato intermedia oltre il 50 per cento del Prodotto interno lordo, allora si è prossimi all’instaurazione di un governo di stampo socialista.
Bene, viviamo dunque noi italiani in uno Stato socialista? No, ma la strada che abbiamo intrapreso è quella che porta in tale direzione (La strada verso la schiavitù? Speriamo di no).
Per dare una sterzata a questa tendenza bisognerebbe partire da una seria riforma delle procedure per la formazione del bilancio del settore pubblico. Infatti, non a caso, il manuale delle riforme dell’IBL si apre proprio con questa proposta, importantissima se si vuole limitare le spese dello Stato e la sua invadenza nelle vite degli individui.
Attualmente, la nostra legge finanziaria è un colabrodo: invece che rappresentare uno strumento serio e rigoroso per contenere la spesa pubblica è in realtà un passaggio che consente ad ogni parlamentare di attingere alle casse dello Stato per soddisfare i suoi più minuti interessi.
Nella sua proposta, Giuseppe De Filippi ritiene necessario cominciare a monte l’opera di revisione delle procedure che portano all’approvazione della manovra annuale. Il Dpef dovrebbe così trasformarsi in un breve documento che indichi solamente saldi e obiettivi di spesa, perdendo tutta quella imponente parte legata all’analisi della situazione economica internazionale e locale (assai utile per i convegni e nulla più).
Ma il vero problema riguarda la legge finanziaria, che dagli anni della sua entrata in vigore (1978) non ha saputo razionalizzare e contenere le spese della mano pubblica. Solamente un vincolo esterno, come quello imposto dal Trattato di Maastricht, ha influito sui conti pubblici, mentre le varie finanziarie che susseguitesi nel corso del tempo si sono connotate come veri e propri “assalti alla diligenza”. Ma come fare per tenere sotto controllo la spesa pubblica? De Filippi propone innanzitutto di introdurre una sunset legislation (la legislazione a scadenza), “comportante la decadenza automatica delle leggi di spesa dopo un certo numero di anni”. Secondariamente, occorrerebbe intervenire direttamente sulla finanziaria. Nonostante le limitazioni imposte al suo contenuto (elencate nella legge 208/1999), “l’individuazione di ciò che può o non può essere inserito nella finanziaria costituisce tuttora un punto critico della manovra annuale”. Il potere di emendamento attribuito al parlamento dilata sempre, ogni anno, il disegno di legge originario (che compete al governo). A mio parere, dunque, limitare questo potere di emendamento vorrebbe dire mantenere entro certi limiti le dimensioni della finanziaria. Permettendo così che le strutture tecniche preposte al controllo della copertura di determinate spese contenute nei singoli provvedimenti (o nei pochi emendamenti) possano compiere le necessarie verifiche nei tempi richiesti (senza essere così travolte improvvisamente da valanghe di emendamenti). L’alternativa è quella attuale, ovvero quella che vede il parlamento travestirsi ogni anno da suk arabo (ma non a carnevale).
Bene, viviamo dunque noi italiani in uno Stato socialista? No, ma la strada che abbiamo intrapreso è quella che porta in tale direzione (La strada verso la schiavitù? Speriamo di no).
Per dare una sterzata a questa tendenza bisognerebbe partire da una seria riforma delle procedure per la formazione del bilancio del settore pubblico. Infatti, non a caso, il manuale delle riforme dell’IBL si apre proprio con questa proposta, importantissima se si vuole limitare le spese dello Stato e la sua invadenza nelle vite degli individui.
Attualmente, la nostra legge finanziaria è un colabrodo: invece che rappresentare uno strumento serio e rigoroso per contenere la spesa pubblica è in realtà un passaggio che consente ad ogni parlamentare di attingere alle casse dello Stato per soddisfare i suoi più minuti interessi.
Nella sua proposta, Giuseppe De Filippi ritiene necessario cominciare a monte l’opera di revisione delle procedure che portano all’approvazione della manovra annuale. Il Dpef dovrebbe così trasformarsi in un breve documento che indichi solamente saldi e obiettivi di spesa, perdendo tutta quella imponente parte legata all’analisi della situazione economica internazionale e locale (assai utile per i convegni e nulla più).
Ma il vero problema riguarda la legge finanziaria, che dagli anni della sua entrata in vigore (1978) non ha saputo razionalizzare e contenere le spese della mano pubblica. Solamente un vincolo esterno, come quello imposto dal Trattato di Maastricht, ha influito sui conti pubblici, mentre le varie finanziarie che susseguitesi nel corso del tempo si sono connotate come veri e propri “assalti alla diligenza”. Ma come fare per tenere sotto controllo la spesa pubblica? De Filippi propone innanzitutto di introdurre una sunset legislation (la legislazione a scadenza), “comportante la decadenza automatica delle leggi di spesa dopo un certo numero di anni”. Secondariamente, occorrerebbe intervenire direttamente sulla finanziaria. Nonostante le limitazioni imposte al suo contenuto (elencate nella legge 208/1999), “l’individuazione di ciò che può o non può essere inserito nella finanziaria costituisce tuttora un punto critico della manovra annuale”. Il potere di emendamento attribuito al parlamento dilata sempre, ogni anno, il disegno di legge originario (che compete al governo). A mio parere, dunque, limitare questo potere di emendamento vorrebbe dire mantenere entro certi limiti le dimensioni della finanziaria. Permettendo così che le strutture tecniche preposte al controllo della copertura di determinate spese contenute nei singoli provvedimenti (o nei pochi emendamenti) possano compiere le necessarie verifiche nei tempi richiesti (senza essere così travolte improvvisamente da valanghe di emendamenti). L’alternativa è quella attuale, ovvero quella che vede il parlamento travestirsi ogni anno da suk arabo (ma non a carnevale).
1 commento:
Diciamo che la sua allieva prediletta, oggi a sua volta Cancelliere, mostra di non aver appreso completamente gli insegnamenti del maestro. Non più tardi di qualche mese fa infatti la signora Merkel sosteneva pubblicamente che "non sempre meno Stato significa più libertà".
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