martedì 10 giugno 2008

Italia libera al 47 per cento. Oggi presentazione dell'Indice 2008

L'Indice delle liberalizzazioni 2008 valuta al 47 per cento il grado di liberalizzazione dell'Italia, sulla base dell'analisi di dodici settori chiave della nostra economia. Lo studio, condotto annualmente dall'IBL, misura l'esistenza di barriere all'ingresso sui mercati analizzati.

Il rapporto sarà presentato oggi a Milano, a partire dalle ore 18,00 presso Palazzo Affari ai Giureconsulti (Piazza Mercanti 2). Interverranno Federica Guidi (presidente, Gruppo giovani imprenditori Confindustria), Massimiliano Magrini (country manager, Google Italia), Alessandro Ortis (presidente, Autorità per l'energia), Stefano Parisi (amministratore delegato, Fastweb) e Giuseppe Rotelli (presidente, Gruppo ospedaliero San Donato). Coordinerà i lavori Gianfranco Fabi (vicedirettore, Il Sole 24 Ore).

Dice Alberto Mingardi, direttore generale dell'IBL: "l'Indice delle liberalizzazioni vuole essere uno stimolo alla classe politica a prendere sul serio la sfida delle liberalizzazioni, che è uno degli snodi su cui si gioca il futuro della competitività del nostro paese. Inserendo anche alcuni settori 'anomali' - quali mercato del lavoro, fisco e pubblica amministrazione - abbiamo inteso sottolineare come l'idea di liberalizzazione sia a tutto tondo, e riguardi l'intera società. Solo rimuovendo le barriere che impediscono l'accesso ai mercati, il paese potrà ripartire".

L'Indice delle liberalizzazioni censisce dodici settori dell'economia italiani, confrontandoli col paese più liberalizzato d'Europa. I dodici settori sono: elettricità (74 per cento), gas naturale (56 per cento), telecomunicazioni (35 per cento), servizi idrici (27 per cento), trasporto ferroviario (49 per cento), trasporto aereo (70 per cento), trasporto pubblico locale (46 per cento), servizi postali (39 per cento), professioni intellettuali (46 per cento), mercato del lavoro (35 per cento), fisco (52 per cento), pubblica amministrazione (39 per cento). L'Indice per l'economia italiana si assesta al 47 per cento. L'intero rapporto è disponibile cliccando qui. Commenta Carlo Stagnaro, direttore Ricerche e studi dell'IBL e curatore dell'indagine: "il grado di liberalizzazione dell'economia è grosso modo stabile, ma la dinamica è preoccupante. Infatti, a fronte di alcuni settori che migliorano il loro grado di liberalizzazione grazie alle dinamiche inerziali - cioè alla fiducia degli operatori che sfruttano le opportunità offerte dalla liberalizzazione, pur essendo sostanzialmente invariato il set di regole - in alcuni casi, e in particolare per le telecomunicazioni e il mercato del lavoro, si rilevano significativi passi indietro dovuti alla volontà politica di interferire col funzionamento del mercato. La tenuta del sistema, dunque, non deve nascondere che nessuno dei problemi esistenti l'anno scorso è stato risolto, e altri se ne sono aggiunti".

L'Indice delle liberalizzazioni sarà presentato oggi a Milano, a partire dalle ore 18,00 presso Palazzo Affari ai Giureconsulti (Piazza Mercanti 2). RSVP: eventi@brunoleoni.it - 338 390 3217

Mercato elettrico
Rispetto al 2007 l'indice di liberalizzazione del mercato elettrico è migliorato di 2 punti, confermandolo come il settore maggiormente liberalizzato (74 per cento rispetto al benchmark inglese). L'elevato livello di liberalizzazione è dovuto a diversi fattori tra cui si possono ricordare: ottimo livello di separazione, presenza di strutture di mercato che permettono l'incremento della capacità di generazione. Infatti tutti gli indici di concentrazione calcolati dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas vedono una continua riduzione. La criticità più grande è riscontrabile nella presenza di grandi quote di domanda che non utilizzano il mercato libero, il quale può dare vita ad importanti riduzioni di prezzo. Infatti i valori di switching factor sono di molto inferiori al livello inglese.

Mercato del gas
Rispetto al mercato dell'elettricità, quello del gas naturale vede un minor livello di liberalizzazione. Infatti, il valore dell'indice (con benchmark il mercato inglese) si è ridotto rispetto all'anno precedente di 2 punti, arrivando al valore del 56 per cento. Questo risultato è il frutto delle modificazioni intervenute nella fase di downstream. Infatti, nell'ultima parte della filiera produttiva si riscontra una diminuzione dello switching factor relativo (cioè il numero di clienti che hanno utilizzato il mercato libero rispetto alla situazione inglese). Le altre fasi della filiera produttiva hanno invece assistito ad una modificazione positiva. L'indice di Hhi nella fase di upstream negli ultimi è stato oggetto di una marcata riduzione (-700 punti). La criticità presente in questo mercato è da imputarsi al fatto che il processo di liberalizzazione ha dato vita a benefici per i clienti di grandi dimensioni ma non ha dato risultati tangibili ai clienti medi e piccoli.

Servizi idrici
Il grado di liberalizzazione del settore dei servizi idrici è pari al 27 per cento, stabile rispetto al 2007. Lo scarso risultato dipende dalla frammentazione del settore, e dal suo permanere ostaggio di fatto di soggetti pubblici, anche quando la normativa consentirebbe altrimenti. Il quadro regolatorio è complesso e variegato e ciò costituisce di per sé una barriera all'ingresso. La gestione dei servizi idrici è solo occasionalmente affidata ai privati; pubblica è pure la proprietà delle reti, per le quali la privatizzazione è addirittura resa inagibile ex lege. La coincidenza di questi due fattori determina una grave condizione di conflitto di interessi, la quale a sua volta si ripercuote - assieme al generale assetto del settore - in una drammatica carenza di investimenti. Pure il livello di concorrenza è assai basso, in virtù dell'adozione di modalità di affidamento discrezionali e opache, l'assenza di mobilità da parte della domanda, e le difficoltà di accesso alla rete.

Telecomunicazioni
Il settore delle telecomunicazioni resta poco liberalizzato, con un punteggio in calo dal 40 al 35 per cento. Sebbene il mercato abbia lanciato dei segnali d'innovazione in grado di stimolare una più intensa concorrenza, a cominciare dal lancio di servizi integrati e della telefonia su protocollo IP, ciò non ha neppure in parte colmato il gap rispetto all'Europa, ed al paese benchmark in particolare - soprattutto per la sovrapposizione di diverse evoluzioni della regolamentazione del settore che hanno avuto un impatto decisamente negativo. In particolare, l'abolizione dei costi di ricarica per le carte prepagate introduce un elemento dirigistico in un campo fino a ora largamente liberalizzato. Ma soprattutto a recar danno alla credibilità del mercato è stato l'intervengo a gamba tesa del governo, tra la fine del 2006 e l'inizio del 2007, contro alcuni potenziali acquirenti dell'ex monopolista telefonico. Come effetto collaterale, lo scontro tra politica e azionisti ha portato a uno stallo nel processo di separazione funzionale della rete telefonica fissa, di fatto cristallizzando il maggior ostacolo all'effettiva concorrenza.

Trasporto Aereo
Nel settore del trasporto aereo si è avuto un grande miglioramento dal punto di vista del grado di liberalizzazione. Le norme europee, le decisioni a livello comunitario e la crisi Alitalia hanno permesso al mercato italiano di crescere continuamente nell'ultimo decennio. Il punteggio cresce dal 66 per cento del 2007 al 70 per cento del corrente anno rispetto al benchmark irlandese. Nel 2007 l'eliminazione delle restrizioni delle rotte da e verso la Sardegna ha permesso di migliorare la liberalizzazione del mercato del trasporto aereo italiano. L'accordo Open Skies raggiunto tra Unione Europea e Stati Uniti, entrato in vigore solamente nel 2008, permette inoltre una liberalizzazione delle rotte atlantiche. Il mercato italiano rimane ancora poco sviluppato ed ha grandi potenzialità di crescita. La liberalizzazione delle rotte intercontinentali potrebbe abbassare l'impatto negativo che la crisi Alitalia avrà nel 2008 sul mercato del trasporto aereo italiano. Il trend del settore è sicuramente positivo grazie alle decisioni comunitarie.

Trasporto ferroviario
L’Italia ottiene un punteggio pari al 49 per cento di quello raggiunto dai paesi benchmark, Svezia e Gran Bretagna, in linea con il punteggio ottenuto lo scorso anno. Il valore rimane insufficiente e denota una mancanza effettiva di apertura del mercato. A livello normativo l’Italia evidenzia una buona liberalizzazione, sebbene l’Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria, esterna ed indipendente da Rete Ferroviaria Italiana, resti sotto il controllo del ministero dei trasporti. La mancata separazione proprietaria tra Rfi e Trenitalia rimane uno tra i principali punti deboli del mercato del trasporto ferroviario italiano. In Italia è presente una stagnazione del mercato passeggeri. Nel mercato inglese sono entrati nuovi player stranieri tramite acquisizioni e si conferma un mercato molto competitivo con bassi sussidi pubblici. Il settore del mercato passeggeri non ha conosciuto un’entrata importante di nuovi operatori, mentre nel trasporto merci, per quanto riguarda il mercato internazionale, gli operatori concorrenti a Trenitalia Cargo stanno riuscendo a guadagnare quote di mercato, nonostante molte barriere all’ingresso.

Trasporto Pubblico Locale
Il settore del trasporto pubblico locale risulta essere in Italia insufficientemente liberalizzato. Il punteggio ottenuto è il 46 per cento di quello raggiunto dal paese benchmark, la Gran Bretagna, in linea con il risultato dello scorso anno. La riforma italiana del trasporto pubblico locale, iniziata a metà degli anni novanta, è ancora incompiuta; manca tra l'altro ancora un'obbligatorietà della procedura di gara per l'assegnazione del servizio. Sono riscontrabili forti barriere operative ed amministrative nel settore e nel mercato non sono pressoché presenti operatori diversi da quello storico. Il mercato italiano è poco concentrato, ma è caratterizzato da piccoli monopolisti locali, che operano in maniera molto inefficiente. Il costo per vettura chilometro del Tpl italiano è circa 2,5 volte quello del mercato inglese deregolamentato e i sussidi pubblici sono ingenti. Il mercato risulta chiuso e la quota di mercato dei nuovi operatori è quasi nulla. È dunque necessaria una liberalizzazione, una separazione tra regolatore e operatori sul mercato e un aumento dell'efficienza del settore.

Servizi Postali
Il grado di liberalizzazione dei servizi postali è molto basso; infatti il punteggio ottenuto nell'indice delle liberalizzazioni del 2008 è pari al 39 per cento, sostanzialmente stabile rispetto allo scorso anno (38 per cento). Nella scorsa legislatura non è andato in porto il progetto di riforma delle Autorità di regolazione sulla base del quale le funzioni di regolazione del mercato postale sarebbero state trasferite all'Autorità garante delle comunicazioni. L'Italia dunque non solo non ha un regolatore indipendente, ma l'Universal Service Provider è interamente controllato dallo Stato. La regolamentazione dell'accesso ai servizi universali non riservati è molto stringente: infatti è richiesta la licenza per tutti i servizi dell'area universale, mentre è necessaria un'autorizzazione generale per l'accesso ai servizi non universali. L'Usp inoltre gode di un'esenzione per la globalità dei servizi prestati. La liberalizzazione normativa del settore è ugualmente scarsa. I servizi postali necessitano di una forte liberalizzazione, in modo che sia possibile una competizione tra i diversi operatori senza alcuna distorsione del mercato anche in vista della liberalizzazione europea del 2011. In definitiva è urgente separare il regolatore dal soggetto regolato.

Professioni intellettuali
La situazione rispetto al 2007 è sostanzialmente invariata. Nell'arco degli ultimi dodici mesi non si annovera alcun intervento che abbia ad avuto ad oggetto, in qualche modo, la riforma, la riorganizzazione o - magari - la liberalizzazione del settore delle professioni intellettuali. Ciò non significa che vi sia stata una totale immobilità: col Decreto Legislativo 6 novembre 2007, n. 206, si è dettata una disciplina unificata in materia di libera prestazione di servizi (anche intellettuali) da parte di cittadini comunitari operanti nel territorio italiano. Tale provvedimento possiede l'aspetto positivo di avere abrogato l'anacronistico requisito della cittadinanza italiana previsto per l'esercizio di talune professioni (architetti e ingegneri). Nondimeno, fa compiere un passo indietro alla normativa in materia di iscrizione all'albo degli avvocati: le regole precedenti concedevano la possibilità di divenire automaticamente avvocato italiano a tutti gli effetti se in possesso di un titolo equipollente conseguito in un altro paese comunitario, mentre ora viene imposto in ogni caso il superamento di un apposito esame di abilitazione.

Mercato del lavoro
Il mercato del lavoro ha conosciuto un grave arretramento del suo grado di liberalizzazione (dal 50 al 35 per cento), dovuto più che a un intervento sistematico, un efficace lavoro di guerriglia normativa, attraverso circolari e interpelli. Si è così bloccato il processo di riforma e, in molti casi, la nostra legislazione è addirittura tornata indietro di 15 o 20 anni: emblematico è il caso del lavoro a termine, dove è stata ripristinata una regola sulla eccezionalità del contratto a termine introdotta nel 1962 ed eliminata nel 2001 prima di essere reintrodotta con il pacchetto welfare. Analogamente l'intervento in materia di sicurezza sul luogo di lavoro anziché semplificare le regole e rendere efficaci i controlli, ha seguito la strada opposta. Vincoli formali e norme inesigibili spingono inevitabilmente nella direzione degli abusi e della improvvisazione che, come dimostrano i recenti accadimenti, sono alcune delle principali cause delle tante tragedie sul lavoro.

Fisco
La riduzione delle risorse private prelevate o intermediate dallo Stato (tasse e contributi), al pari della semplificazione dei meccanismiattraverso i quali questo prelievo avviene, è una essenziale forma di liberalizzazione. Per gli individui, meno fisco equivale a più libertà di disporre del proprio reddito. Per le imprese, riduzione e semplificazione fiscale riducono le barriere all'ingresso sui mercati, minori distorsioni delle dinamiche competitive, più efficienza e innovazione. Il grado di liberalizzazione fiscale dell'Italia è valutato al 52 per cento della Gran Bretagna. Tra i dati negativi, spiccano le ore che le imprese sono costrette a destinare agli obblighi fiscali (360 contro le 105 britanniche), l'elevata quota di sussidi e agevolazioni settoriali (0,4 per cento del Pil in Italia contro 0,2 del pil in Gran Betagna) e l'eccessiva tassazione delle persone fisiche. La "liberalization by taxation" è una sfida che un governo seriamente interessato alle liberalizzazioni non può trascurare.

Pubblica Amministrazione
Per definire la liberalizzazione della Pa sono state analizzate tre libertà possibili: libertà intesa come autonomia, come libertà da interferenze esterne, libertà del cittadino dalla Pa (minimizzazione dello Stato burocratico), libertà della Pa locale da quella centrale. L'Italia ha una scarsa coesione delle organizzazioni burocratiche, autonomia dal controllo politico e impermeabilità agli interessi esterni. Il livello di spesa per i servizi pubblici generali in percentuale del Pil e della spesa pubblica generale non è elevatissimo, ma sconta un'arretratezza nello sviluppo di e-government. Per quanto riguarda la libertà della Pa locale da quella centrale, l'Italia appare penalizzata sia perché il processo di devoluzione è avvenuto a favore delle regioni più che dei livelli locali di governo. Nel complesso il punteggio raggiunto nel Lib Index per la Pa in Italia è il 49 per cento rispetto al benchmark individuato nella Danimarca. Il Lib index tuttavia non permette ai paesi con una tradizione di forte presenza pubblica dei risultati molto buoni; è stato introdotto quindi anche un performance index. L'Italia ottiene un punteggio molto basso a causa di un elevato grado di burocratizzazione, di corruzione della burocrazia, ma anche per uno scarso grado di attuazione delle politiche di governo e di trasparenza delle politiche pubbliche. Nel complesso, analizzando i due indici, è possibile affermare che il grado di liberalizzazione della Pa in Italia è pari al 38 per cento, è stabile rispetto allo scorso anno.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

La ringrazio per intiresnuyu iformatsiyu

Anonimo ha detto...

Si, probabilmente lo e

Anonimo ha detto...

Si, probabilmente lo e