martedì 6 novembre 2007

In difesa del Dr. House (e dei suoi colleghi)

Ok, ha detto che ha ragione Michael Moore. Ma l’hanno costretto, il Dr. House non lo pensa davvero: si sa che lo star system americano non è esattamente libertarian

Gregory House deve rimanere un’icona liberale. In un mondo in cui la regolamentazione invade sempre più ogni sfera della nostra vita, in cui il sistema sanitario non è di certo immune, e persino quello americano (che Mankiw ci ricorda non essere poi così estremista) è sommerso di linee guida, permessi, protocolli (si veda il bel focus di Pitts sull’Evidence Based Medicine). Il burbero Dr. House ci mostra come quella che è da molti intesa come una scienza esatta è in realtà lavoro di deduzione, basata sul ragionamento, sul calcolo di rischi e benefici per ogni caso specifico, per ogni singolo paziente. Ci ricorda che sono i medici a salvare i pazienti, e non protocolli basati su statistiche ed imposti da burocrati governativi.
Ancora, House in realtà non è abilitato a fare il medico: ma è un medico eccezionale. Dovrebbe farci riflettere sul valore legale dei titoli, sulle abilitazioni e sulle trafile amministrative che dovrebbero garantirci che solo i migliori vestano un camice bianco e ci somministrino le cure, mentre servono solo ad ergere barriere protezionistiche intorno a chi lavora già nel settore. In un sistema sanitario socializzato come quelli europei, le eccezionali capacità mediche di House verrebbero sprecate: invece di potersi permettere di “prescrivere cure costose per tutti”, in un sistema come quello auspicato da Moore House non potrebbe neanche fare l’infermiere. Ma un ospedale privato può assumerlo come consulente: è il mercato che riesce sempre a riallocare al meglio le risorse.

In questo momento, le serie tv più amate sono due serie mediche, tutte ambientate in ospedali americani. Ci mostrano un’efficienza, o semplicemente delle strutture, che di certo non rispecchiano le aspettative di un cittadino italiano medio che, per sua sfortuna, si avvicini ad un ospedale. Eppure, questi telefilm ci mostrano un’umanità variegata per ceto, storia, etnia mentre richiede cure di ogni genere. Non solo i ricchi-ricchissimi accedono ai servizi sanitari, come gente della schiatta di Moore vorrebbe farci credere: è il cittadino medio a farsi curare dal Dr. House o dai medici di Grey’s Anatomy.

Quest’ultima è la serie medica che più si occupa dell’aspetto amministrativo-economico della vita ospedaliera in un sistema sanitario così diverso dal nostro (a cominciare dai protagonisti, tirocinanti che si fanno ogni sorta di sgambetto per lavorare di più). Tutto è concentrato intorno al prestigio: per il buon nome dell’ospedale, il Capo fa di tutto per accaparrarsi i medici più affermati, quelli con le migliori credenziali ed i migliori risultati. Come primario, deve fare scelte economiche per assicurare questo prestigio, scegliendo, ad esempio se destinare fondi ad una maggiore specializzazione (nuovi macchinari) o maggiore incentivazione dell’assistenza di base (aumentare lo stipendio delle infermiere – non chiedetemi come va a finire ;-P !). Talvolta, alcuni interventi sono troppo costosi, o i pazienti non sono coperti: si vede come i vari medici cercano di trovare una soluzione che riduca i costi, come i casi più gravi vengano sovvenzionati dall’ospedale stesso, ancora una volta perché ne aumenteranno il prestigio, e come talvolta debba intervenire la generosità di donatori privati. Infine, per migliorare la qualità dell’ospedale, nell’ultima serie viene aperta una clinica gratuita “per i bisognosi ed i non assicurati”. Milioni di persone che muoiono senza cure, secondo Sicko. È buffo che, nella puntata in cui viene inaugurata, il vero problema è quello di trovare pazienti, tanto che due dei tirocinanti vengono mandati a “rubarli” dalla clinica vera.

Va bene, si tratta di fiction e non di documentari, non possiamo prenderli come prove della realtà: ma se tanta gente li guarda devono essere quantomeno verosimili, no?

2 commenti:

Anonimo ha detto...

"ma se tanta gente li guarda devono essere quantomeno verosimili, no?"

No. Almeno Moore intervista persone vere (non personaggi fittizi) e usa dati veri anche se nemmeno Sicko va usato come prova dell'efficienza di uno o l'altro sistema, come lei fa con House.

Anonimo ha detto...

Michel Moore sventola a quattro venti dati veri? il ritornello dei 47 milioni di americani senza assicurazione medica...giusto?

9M sono iscritti al programma statale Medicaid, ma vengono contati come 'uninsured'.
3M di questi hanno i requisiti per programmi statali come Medicaid ma non l'hanno fatta.
8M hanno un reddito oltre i 50.000 USD l'anno, molti giovani che scelgono di non assicurarsi dato il basso rischio.
10M sono immigrati (cioe non americani) che hanno un tenore di vita superiore ai nei paesi di origini, se no per definizione non sarebbero li.
E potrei andare avanti con i dissoccupati di cortissimo periodo tra un lavoro e l'altro, che vengono conteggiati.


Beh, chi è il fittizio adesso?