Le dichiarazioni di Giulio Tremonti, ministro dell’Economia, “l’Europa vuole più mercato, e più mercato di cosi” in concomitanza del decreto “SalvAlitalia” e del relativo prestito sembrano non eccessivamente calibrate.
In primo luogo, vi sono dei seri dubbi che l’Europa voglia più mercato, come dimostra la proposta molto timida sul Doha Round in campo commerciale e agricolo o la vittoria delle lobbies contro un’apertura del mercato nel settore del trasporto pubblico locale. In alcuni settori l’Europa ha voluto più mercato, ma non sempre è stato così.
Secondariamente un prestito che entra nel patrimonio netto dell’azienda e che difficilmente sarà restituito ai contribuenti nega la seconda parte della frase del ministro “più mercato di cosi”.
La natura del finanziamento è la parte di maggiore interesse di questo ennesimo salvataggio di Stato. Secondo la relazione tecnica al decreto legge i due terzi del finanziamento sono presi dal fondo per la competitività e lo sviluppo.
Un prestito ponte che finanzia un’azienda che di sviluppo del mercato non ha mai sentito parlare negli ultimi 15 anni e che si prefigura come norma chiaramente anti-competitiva è finanziato in questa maniera; in effetti tra gli obiettivi della direzione generale che gestisce questo fondo è presente quello di “amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi”.
Il governo ammette che Alitalia deve essere gestita in amministrazione straordinaria; speriamo dunque che la compagnia venga commissariata.
Intesa San Paolo è diventata oggi 3 Giugno ufficialmente advisor per la privatizzazione di Alitalia; sicuramente è il player vincente del fallimento della seconda fase di privatizzazione. La banca da investitore di rischio al fianco di Airone diventa l’advisor della terza fase della vendita di Alitalia.
I sindacati si dicono soddisfatti di questa nuova fase di privatizzazione e delle decisioni prese dal Governo.
Teorema
Se i due attori, sindacati e Governo, si trovano d’accordo sulla gestione di un’azienda pubblica, il terzo (il contribuente) non gode affatto.
Ferrovie dello Stato (42 miliardi di Euro circa di contributi e perdite dal 1998 al 2006), Alitalia (3 miliardi in nove anni), il trasporto pubblico locale (costi 2,5 volte quelli inglesi) e Poste Italiane (al netto dei sussidi) ne sono la dimostrazione.
In primo luogo, vi sono dei seri dubbi che l’Europa voglia più mercato, come dimostra la proposta molto timida sul Doha Round in campo commerciale e agricolo o la vittoria delle lobbies contro un’apertura del mercato nel settore del trasporto pubblico locale. In alcuni settori l’Europa ha voluto più mercato, ma non sempre è stato così.
Secondariamente un prestito che entra nel patrimonio netto dell’azienda e che difficilmente sarà restituito ai contribuenti nega la seconda parte della frase del ministro “più mercato di cosi”.
La natura del finanziamento è la parte di maggiore interesse di questo ennesimo salvataggio di Stato. Secondo la relazione tecnica al decreto legge i due terzi del finanziamento sono presi dal fondo per la competitività e lo sviluppo.
Un prestito ponte che finanzia un’azienda che di sviluppo del mercato non ha mai sentito parlare negli ultimi 15 anni e che si prefigura come norma chiaramente anti-competitiva è finanziato in questa maniera; in effetti tra gli obiettivi della direzione generale che gestisce questo fondo è presente quello di “amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi”.
Il governo ammette che Alitalia deve essere gestita in amministrazione straordinaria; speriamo dunque che la compagnia venga commissariata.
Intesa San Paolo è diventata oggi 3 Giugno ufficialmente advisor per la privatizzazione di Alitalia; sicuramente è il player vincente del fallimento della seconda fase di privatizzazione. La banca da investitore di rischio al fianco di Airone diventa l’advisor della terza fase della vendita di Alitalia.
I sindacati si dicono soddisfatti di questa nuova fase di privatizzazione e delle decisioni prese dal Governo.
Teorema
Se i due attori, sindacati e Governo, si trovano d’accordo sulla gestione di un’azienda pubblica, il terzo (il contribuente) non gode affatto.
Ferrovie dello Stato (42 miliardi di Euro circa di contributi e perdite dal 1998 al 2006), Alitalia (3 miliardi in nove anni), il trasporto pubblico locale (costi 2,5 volte quelli inglesi) e Poste Italiane (al netto dei sussidi) ne sono la dimostrazione.
6 commenti:
http://hamelin.ilcannocchiale.it/post/1928732.html
Ah Giuricì!
Marco R.
Credo vi siano buone ragioni per essere scettici su tutte le sovvenzioni pubbliche al trasporto aereo. Affermato questo, però, bisogna anche distinguere tra sovvenzione e sovvenzione. Ve ne sono almeno di tre tipi:
A) Sovvenzione di tipo A, detta anche Tremontiana o Alitaliana: da uno stato compiacente a un vettore inefficiente (al fine di coprire le perdite del medesimo). Esempio: nel primo trimestre 2008 i passeggeri che hanno volato AZ sono costati in media 183 euro ma hanno pagato solo 156. I 27 euro di perdita per passeggero sono quelli che Tremontiprodi ci ha prelevato per versare nelle casse di Alitalia. Questa tipologia di sovvenzione è, in maniera condivisibile, fortemente invisa a Bruxelles.
B) Aiuti pubblici per sovvenzionare rotte non remunerative verso aree periferiche/insulari di un paese. Si tratta di collegamenti che non sarebbero spontaneamente effettuati da operatori in normali condizioni di mercato (o lo sarebbero solo in periodi di alta domanda stagionale). Bruxelles li regolamenta e li accetta.
C) Aiuti pubblici concessi da enti di promozione territoriale per avviare nuovi collegamenti (sono di questo tipo quelli di cui gode Ryanair). Hanno un certa somiglianza con quelli di tipo B ma con una differenza importante: quelli di tipo B servono a garantire che gli abitanti di Lampedusa o Pantelleria abbiano collegamenti aerei tutto l'anno con la Sicilia anzichè sobbarcarsi dieci ore di traghetto nei mesi invernali; quelli di tipo C servono a portare turisti in località in cui non si sarebbero mai sognati di andare spontaneamente(la città belga di Charleroi è un buon esempio) se non avessero usufruito dei prezzi stracciati dei vettori low cost. Bruxelles li vede con sospetto ma a certe condizioni non li considera illegittimi (come evidenziato nella sentenza Ryanair-Charleroi).
E' quindi importante non fare di ogni sovvenzione un fascio. Almeno nel caso C il vantaggio va ai passeggeri e il costo ricade sulle comunità locali sulle quali si riversano anche i benefici della spesa turistica; nel caso A va dai contribuenti non viaggiatori a finanziare gli extracosti dei vettori pubblici ex monopolisti. E gli extrastipendi: non dimentichiamoci che il nostro Ministero del Tesoro ha concesso per anni la remunerazione europea più alta all'amministratore delegato di Alitalia che è riuscito a conseguire i risultati europei peggiori. Mi piacerebbe se Report si occupasse anche di questi aspetti.
Postilla al commento precedente. Usando i termini di Andrea, con la sovvenzione C godono i turisti che usano i vettori low cost, con la sovvenzione B gli abitanti di aree periferiche e disagiate dal punto di vista dei collegamenti, con la sovvenzione A gli a.d. privi di vincoli di risultato delle aziende pubbliche, i sindacalisti che si divertono a fare gli azionisti delle medesime senza rischiarci soldi loro e (ma in misura molto molto minore) i dipendenti.
Il contribuente non gode mai ma per accettare il caso A dovrebbe essere proprio masochista.
Gentile Marco R.,
Premessa:
per educazione, mi chiamo Giuricin e mi firmo per intero, altrimenti avrei utilizzato G.
Mi spiace che non abbia argomenti se non quello di sbagliare inavvertitamente il cognome.
Vedo che purtroppo non ha capito il mio intervento:
1) La sentenza UE sugli aeroporti c'è già stata. Speriamo che presto ce ne sia una simile anche per i prestiti ponte.
2) Il teorema è confermato. Forse dovremmo privatizzare anche gli aeroporti, in modo che possano decidere loro stessi gli incentivi per attrarre passeggeri e magari aumentare la loro efficienza.
Si ricordi che gli aeroporti operano in posizione di monopolio naturale.
3) Spero solo che in nome dell'italianità e in nome degli ottimi manager, sindacalisti e politici che hanno gestito splendidamente Alitalia negli ultimi anni, Lei e tutti quelli che la pensano come Lei siano in grado di finanziare il rilancio di Alitalia con i propri soldi.
Mi spiace, che non conoscendoLa, non sia stato in grado di affrontare l'argomento in maniera seria e non personale.
Saluti,
Andrea G.iuricin
Sono uno studente della Bicocca e ho seguito con interesse la sua lezione nel corso di finanza pubblica su alitalia.
Purtroppo penso che tu e il prof. Arrigo avete ragione da vendere.
Volevo offrirvi uno spunto di discussione: sul corriere della sera qualche tempo fa un articolo (non ricordo l'autore) diceva che la famosa cordata italiana non avrebbe rischiato 700-800 milioni di euro se in cambio non avesse ricevuto qualcosa.
Quel qualcosa non erano gli utili che (forse) un domani alitalia distribuirà ai suoi salvatori. Infatti la contropartita richiesta dai componenti della cordata salva-alitalia sono: per i Benetton l'aumento dei pedaggi autostradali, per Ligresti i terreni dell'Expo di Milano ecc...
Insomma a chi accetta di salvare alitalia il governo italiano (che in campagna elettorale aveva promesso il salvatggio della compagnia) fa qualche "regalino"...
A tuo giudizio è un ipotesi verosimile o sono solo insinuazioni prive di fondamento?
Cordiali saluti
D. Fazzini
Gentile Fazzini,
ti ho risposto nel nuovo blog:
http://liberalizzazioni.blogspot.com/2008/07/waiting-for-alitalia.html
Forse sono troppo ottimista ed ingenuo, ma non credo che certi imprenditori vadano a buttare via dei soldi in AliOne...
Andrea Giuricin.
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