lunedì 31 dicembre 2007
Accountability to the stockholders
domenica 30 dicembre 2007
Europa 2008: l'energia tra scelte incerte e sbagliate
Neppure dal punto di vista delle negoziazioni ambientali si sono osservati mutamenti imprevisti. Bali, che per gli entusiasti avrebbe dovuto partorire la cornice per il post-Kyoto (ormai nessuno lo chiama più Kyoto 2, come andava di moda dire fino all’anno scorso), non ha prodotto nulla se non le consuete divisioni. E la causa prima del fallimento annunciato è la testardaggine europea nel proporre una strategia – quella degli obiettivi vincolanti di breve termine – che nessuno condivide.
Questo conduce a quella che è la vera notizia energetica del 2007, almeno per chi sia condannato a subirne gli effetti, ossia la determinazione del Consiglio europeo di primavera a fissare i cosiddetti obiettivi del 20-20-20 (20 per cento meno emissioni rispetto al 1990, 20 per cento meno consumi rispetto al tendenziale, 20 per cento rinnovabili sul consumo totale, tutto entro il 2020). Gli obiettivi sono stati adottati, per quel che è dato conoscere, senza alcuno studio preliminare sulla fattibilità o sui costi. Si tratta di uno slogan, ma uno slogan vincolante è uno slogan pericoloso. A destare preoccupazioni non sono solo la portata del cambiamento in un lasso di tempo così breve (12 anni), o l’entità della bolletta che i consumatori europei saranno chiamati a pagare. Più ancora di tutto ciò, due fattori sono pericolosi. Il primo riguarda gli incentivi che la Commissione – da cui ci si attende una direttiva per fine gennaio – manderà agli attori economici. Un approfondito studio di Alberto Clò e Stefano Verde, pubblicato sull’ultimo numero della rivista Energia, spiega che il combinato disposto degli obiettivi previsti nella Nuova Politica Energetica (Nep) “comporta nel 2020 un minor fabbisogno delle altre fonti tradizionali per 430 milioni di Tep (-25,6 per cento)”. In particolare, “il gas metano, che in base alle previsioni tendenziali avrebbe dovuto conoscere la maggior crescita assoluta passando dai 445 milioni di Tep del 2005 a 556 milioni di Tep (+25 per cento), nel caso programmato dovrebbe invece ridursi dell’11 per cento” (questi valori sono calcolati sulla base di un obiettivo di riduzione del 20 per cento dei consumi primari, mentre sembra che la Commissione imporrà il target rispetto al consumo finale, ma l’ordine di grandezza non è destinato a cambiare). Quindi,
l’aspetto centrale e più critico è se e in che misura debbano rivedersi verso ilDetto in termini più triviali: servono ancora i rigassificatori? Un’ulteriore questione riguarda la cornice istituzionale che dovrà sorreggere un simile mutamento strutturale del settore energetico in Europa. Fino a che punto una politica europea instabile, imprevedibile, e che demanda al pubblico scelte di indirizzo fondamentali (che vanno dal controllo della domanda alla pianificazione dell’offerta) è compatibile con le liberalizzazioni? Non solo tale domanda è finora restata senza risposta da parte delle autorità europee, ma neppure la Commissione pare essersi posta il problema. E questo, più ancora del merito delle decisioni, ci fa temere che il sentiero europeo condurrà dove tipicamente vanno le strade lastricate di buone intenzioni.
basso i fabbisogni che fino al 7 marzo 2007 erano ritenuti indispensabili e
imprescindibili nello sviluppo delle infrastrutture e delle forniture per
assicurare piena copertura della domanda in condizioni di competitività e
sicurezza. Nell’ipotesi di un pieno raggiungimento degli obiettivi di Berlino,
l’attuale dotazione di infrastrutture e di forniture di metano risulterebbe,
infatti, assolutamente idonea a fronteggiare il livello dei futuri consumi,
mentre il mancato raggiungimento degli obiettivi richiederebbe sin d’ora, come
d’altra parte sta avvenendo, l’accelerazione degli investimenti.
(Da RealismoEnergetico)
mercoledì 26 dicembre 2007
Un Natale tra i rifiuti
domenica 23 dicembre 2007
Protezionismo alla milanese
Sono della stessa opinione tutti i commentatori più avveduti - incluso l'ex direttore dell'Economist, Bill Emmott.
A chi viene lasciato il controcanto? A Letizia Moratti e Roberto Formigoni, che anziché pensare a come una gestione più imprenditoriale potrebbe riqualificare Malpensa, strepitano perché l'azienda non è restata in mani "italiane" - cioè non è stata acquistata dalla "league of extraordinary gentlemen" guidata da Carlo Toto e ben supportata dalle banche, indispensabili per uno sforzo del genere da parte di Air One.
La tardiva privatizzazione di Alitalia è comunque migliore dell'unica alternativa politicamente immaginabile: continuare a far pagare il conto delle inefficienze del vettore ai contribuenti italiani. Ne valeva la pena, per compiacere il bisogno di grandeur dei politici lombardi?
mercoledì 19 dicembre 2007
La libertà non ha prezzo…
martedì 18 dicembre 2007
Il protezionismo selettivo di Sarkozy
Tax competition. A liberalizing force in the world economy
(Nota per coloro che ci leggono via feed: VIDEO EMBEDDED.)
Il sorpasso annunciato
Ponendo pari a 100 la media dell’Unione Europea a 27 Stati, l’Italia ha un valore indice pari a 103, mentre la Spagna ci supera di due punti.
La crescita del Paese Iberico è stata negli ultimi 3 anni più veloce rispetto la media europea e, da un valore pari a 101 nel 2004, è arrivato appunto a 105 nel 2006. In Italia, dove la crescita economica è stata molto bassa negli ultimi anni, il valore indice è passato da 107 nel 2004 a 103 nel 2006.
Chiaramente questi dati sono da utilizzare tenendo in considerazione che la metodologia PPS (Purchasing Power Standard) non è perfetta; ma come funziona questa metodologia? Semplicemente si confronta il prodotto interno lordo pro-capite di ogni paese e lo si divide per la parità di potere di acquisto.
Prendendo uno stesso paniere di beni, si vede quale è il costo di questo paniere in ogni paese dell’Unione Europea; così facendo è possibile confrontare il PIL pro-capite tra i diversi Stati.
La metodologia forse non è perfetta, ma sicuramente è una delle migliori possibili per potere misurare e confrontare il PIL tra i diversi Paesi europei.
La Spagna, grazie alla spinta delle liberalizzazioni dei governi Aznar e non interrotte dal governo Zapatero, è riuscita ad imprimere una crescita economica molto importante, superiore al 3,5 per cento annuo. Il turismo e l’edilizia sono due motori essenziali della crescita del Paese e sono due settori che hanno permesso una notevole diminuzione della disoccupazione (oltre ad un mercato del lavoro flessibile).
Bisogna dire che non è tutto oro quello che luccica: la Spagna ha anche degli elementi di debolezza strutturale, quali una crescita economica molto legata all’edilizia, che pesa per più del 15 per cento dell’economia, una bassa propensione agli investimenti in ricerca e sviluppo (come l’Italia) e, a mio parere, la troppo stretta connessione tra il mondo bancario e l’industria.
La Spagna non è la “Terra Promessa”, ma sicuramente può insegnarci diverse cose. Le liberalizzazioni in Italia potrebbero aiutare a renderci più competitivi in un’economia sempre più globalizzata e potrebbero anche aiutarci ad incrementare il nostro PIL pro-capite a dei tassi simili a quelli europei.
Nei prossimi anni, se le previsioni saranno confermate, la Spagna ci supererà anche per quanto riguarda il PIL pro-capite.
sabato 15 dicembre 2007
Alitalia e la soluzione (all’) italiana
Il crollo in Borsa del titolo Alitalia non deve stupire, così come non deve stupire la continua invasione di campo dei politici.
La compagnia di bandiera italiana, se circa un anno fa, all’inizio della procedura di vendita, era una compagnia in stato comatoso, oggi è un vettore sull’orlo del fallimento.
Le disponibilità finanziarie a breve sono arrivate a circa 280 milioni di Euro, nel momento in cui continua a perdere circa 400 milioni di Euro l’anno; inoltre uno degli asset più importanti della compagnia aerea, gli aeromobili, hanno un’età media molto elevata, vicina ai 13 anni e quindi il valore della flotta è molto basso.
Gli unici asset importanti della compagnia, che peraltro non sono contabilizzati, sono gli slot nei principali aeroporti italiani. La compagnia ha inoltre 1,5 miliardi di debiti a medio lungo termine.
In questo contesto per nulla roseo si sta concludendo la vendita di Alitalia.
Il crollo del prezzo delle azioni è riferibile soprattutto alle indiscrezioni, non pienamente confermate da Alitalia, sulle offerte presentate dai due pretendenti in gara: AirFrance e Airone. L’offerta francese sembrerebbe valutare la compagnia circa mezzo miliardo di Euro, mentre l’offerta italiana valuterebbe il vettore di bandiera quasi zero. Da un punto di vista finanziario l’offerta più attraente sembrerebbe essere dunque quella del colosso europeo.
L’Amministratore Delegato Prato ha però ricordato, tramite un comunicato aziendale, che la vendita non sarà basata solo su dei contenuti finanziari, ma terrà in considerazione anche il contenuto industriale.
La seconda affermazione iniziale a questo punto si può meglio spiegare; i politici italiani hanno grande parte di responsabilità nell’aver portato la compagnia sull’orlo del fallimento. Per anni il vettore è stato visto come un giocattolo personale, senza contare che Alitalia era ed è una compagnia nel mercato europeo del trasporto aereo che aveva ed ha bisogno di un risanamento; così facendo negli ultimi nove anni la compagnia ha bruciato 3,3 miliardi di Euro (Vd. IBL Focus N°78).
Quasi ogni politico, di destra e di sinistra si sente un piccolo amministratore delegato della compagnia, quando l’unico azionista è il Ministro dell’Economia; solamente quest’ultimo dovrebbe avere l’ultima parola, insieme al Capo del Governo, Prodi.
La scelta di Prato, come amministratore delegato, nel mezzo di questa estate e dopo il fallimento della prima asta di vendita, ha dato un indicazione precisa: salvare la compagnia tramite la vendita. L’invasione di campo dei politici si è dunque spostata dalla gestione ordinaria della compagnia alla scelta dell’acquirente.
L’Amministratore Delegato dopo una valutazione durata tre mesi, sembra aver scelto la compagnia francese.
L’ultimo comunicato stampa di Alitalia del 14 Dicembre del corrente anno, ricalcando i punti principali del piano industriale presentato a Settembre, sembra dirlo quasi esplicitamente e risponde a tutti quei politici e ministri che si stanno spendendo per AirOne.
Alitalia afferma che il nuovo partner deve:
- “migliorare la qualità dell’assetto della rete anche attraverso lo sviluppo di un hub che in prospettiva possa avvicinarsi per livelli dimensionali e numerosità delle connessioni ai principali scali europei”;
La scelta è un solo hub, quello di Fiumicino, così come chiede AirFrance. La flotta di Alitalia infatti non permette di avere due hub, in quanto possiede solo 24 aerei a lungo raggio, contro i più di 150 del colosso francese.
- “garantire alla Compagnia un modello di business ed una dimensione tale da poter essere attrice della competizione a livello globale;
AirOne , pur supportato da grandi banche, produce ricavi per 610 milioni di Euro, inferiori alle perdite accumulate da Alitalia nel solo 2006 (626 Milioni di Euro). AirFrance sembra essere il solo operatore che può portare Alitalia a divenire parte di un business competitivo a livello globale. La quota di mercato in Europa della compagnia di bandiera italiana è di circa il 3 per cento, contro il 10 per cento di AirFrance e lo 0,7 per cento di AirOne (Vd. IBL Briefing Paper N°46). L’integrazione in Airone porterebbe a creare un campione nazionale con ben il 3,7 per cento della quota di mercato europea (non mondiale).
- Portare “la generazione di importanti sinergie derivanti dall’integrazione dei network e delle strutture operative.”
La francese AirFrance fa già parte della stessa alleanza di Alitalia, SkyTeam e una fusione tra le due compagnie porterebbe sicure sinergie; inoltre i network sono in parte già integrati. L’integrazione nell’italiana Airone potrebbe portare a delle possibili sinergie, ma porterebbe con sé anche il grande problema della riduzione della concorrenza sulle principali rotte domestiche, in particolar modo la Linate – Fiumicino.
In definitiva, il continuo procrastinare della scelta porta la Compagnia sempre più vicina al fallimento. In questa situazione così difficile, la minaccia dei sindacati di proclamare uno sciopero, vuole portare ad una soluzione tutta italiana, anzi all’italiana.
La paura di vendere all’invasore straniero è semplicemente la paura di perdere il controllo della compagnia sia da parte dei politici che da parte dei sindacati. Questi due attori sono gli stessi che hanno contribuito in maniera significativa ai 3,3 miliardi di Euro di perdite pagati dai cittadini - contribuenti italiani.
Se il Governo ha scelto questa estate un amministratore delegato “forte”, deve lasciare a Prato la decisione ultima di scelta del partner migliore per Alitalia.
Se così non fosse, lo stesso Governo perderebbe di credibilità…
Microsoft, la storia si ripete in farsa
Il procedimento è stato intenso e appassionante, ma il teorema dell'accusa si è un po' sfarinato, al cospetto dell'evoluzione dei mercati. Cioè (1) i competitori non sono del tutto spariti di piazza: anzi (e sono molto migliorati di qualità: parola di un fedele utilizzatore di Firefox); (2) l'intuizione di base di Microsoft era giusta. L'utilizzo di Internet non è "altro" dal nostro avere un Pc: è parte integrante di qualsiasi funzione noi si pretenda di svolgere con un computer. Pertanto, l'inserimento di un browser nel sistema operativo, che permetta di inserire la spina e navigare sul web, migliora - e di molto! - la vita dell'utente.
Ora le stesse accuse di dieci anni fa vengono riproposte, un po' fuori tempo massimo, da Opera.
La cosa più curiosa mi sembra essere la dichiarazione di Jon von Tetzchner, CEO di Opera Software:
Abbiamo presentato questo esposto a nome di tutti i consumatori che si sono stancati di avere un monopolista che fa scelte per loro. Oltre a promuovere la libertà di scelta dei singoli consumatori, siamo impegnati negli standard Web aperti e nell'innovazione cross-platform. Non ci riposeremo finché non avremo fornito giuste ed eque opzioni di scelta ai consumatori di tutto il mondo.
Ora, la distinzione consumatori-produttori è sicuramente porosa (ognuno è consumatore di qualche cosa, e produttore di qualcosa d'altro) ma che dica di portare avanti un esposto "a nome dei consumatori di tutto il mondo uniti" l'amministratore delegato di una delle imprese che trarrebbe beneficio dall'accoglimento delle sue proteste, va ben oltre qualsiasi soglia minima di pudore.
Quando parlavamo di queste cose, alcuni anni fa, tendevano a ricordare al lettore che dopotutto è meglio avere un software in più gratis che uno in meno. E' un po' difficile che dall'avere qualcosa di più a costo zero il consumatore si senta "danneggiato". Adesso credo che il problema non possa neppure porsi in questi termini: semplicemente, l'accesso a Internet noi lo pretendiamo dal nostro sistema operativo, noi compriamo un pc per accedere a Internet perbacco!, non è più un passatempo fra tanti. La questione vera è un'altra: sono o non sono i produttori liberi di definire che cos'è il prodotto che essi vendono? Cioè, posso io scarparo dire che la scarpa che intendo vendere "contiene" anche i lacci, o no? Posso io produttore di computer vendere il mio laptop assieme ad un sistema operativo, perché mi sembra che quello sia il modo più appropriato e migliore per presentarlo al consumatore e incontrarne il favore? Posso io produttore di sistema operativo valutare che nel mio OS deve starci un browser integrato, e non uno strip poker, perché penso che sia questo che il mio consumatore vuole e desidera?
Rispondiamo pure di no, ma consci che non stiamo facendo "politica della concorrenza" ma semplicemente rigettando l'economia di mercato tout court.
giovedì 13 dicembre 2007
Fumo negli occhi...
Ora, consideriamo che:
Nei Paesi UE, il livello medio dell'imposizione per le sigarette è pari a circa il 75% del prezzo di vendita al pubblico, sulla base di quanto previsto dalla legislazione comunitaria.
Attualmente in Italia prezzo medio di vendita di un pacchetto di sigarette viene ripartito come segue:
- il 58,5% è costituito dall'accisa sul tabacco;
- il 16,7% è l'incidenza dell'IVA (che con aliquota ordinaria del 20% viene applicata sulla somma del margine ai produttori, dell'aggio ai rivenditori e sull'accisa);
- il 10% è il compenso (aggio) riconosciuto ai rivenditori (tabaccai);
- il 14,8% è il margine riconosciuto al produttore. (fonte: Bat Italia)
Più di tre quarti del prezzo di un pacchetto sono costituiti da tasse, fortemente caldeggiate dall'Unione Europea: in ogni pacchetto da venti, quindici le paghiamo allo stato, e solo cinque a produttori e distributori...
Crediamo davvero che l'Ue stia dalla parte del consumatore, ed abbia qualche titolo per condannare il perfido cartello del tabacco che cerca di alzare il prezzo delle sigarette?
mercoledì 12 dicembre 2007
Taxi a Roma: aumenta l’offerta, aumentano le tariffe.
altrettante nello stesso mese del 2009, e, contestualmente si è approvato un adeguamento delle tariffe pari al 18% in più. Con buona pace del consumatore, che sperava di guadagnar qualcosa dalla bersanata – chiamarla liberalizzazione è fuorviante – dei taxi, gli interessi concentrati prevalgono sempre su quelli diffusi…
martedì 11 dicembre 2007
Dutch do it worse
British do it better
martedì 4 dicembre 2007
Compensi di Stato e affini
Questa cifra è frutto di una stima perché dati certi non esistono.
I bilanci della società pubblica riportano i compensi totali per gli Amministratori nell’anno 2006. Lo scorso anno gli stipendi per gli amministratori ammontavano a 10,085 milioni di Euro. Bisogna tuttavia tenere conto della liquidazione data al precedente amministratore delegato Catania di FS, che varia tra 6,7 e 7,8 milioni di Euro. Non è possibile sapere precisamente i soldi percepiti dall’ex A.D. per la cessazione dell’incarico poiché vigeva una clausola di riservatezza nel contratto.
Sottraendo dunque ai compensi 2006 la liquidazione di Catania risulta che i compensi per gli amministratori non sono diminuiti rispetto al 2005, poiché l’incremento di questa voce di costo è di 7,841 milioni di Euro (pari alla stima massima della liquidazione di Catania).
Nell’ultimo periodo dell’anno, da quando l’amministratore delegato è diventato Moretti, i costi per i compensi ad amministratori non sembrano essere dunque variati; non sembra esserci una discontinuità.
Nei conti, è necessario aggiungere altre spese per i compensi agli organi sociali per 4,6 milioni di Euro.
I dati relativi al compenso dell’amministratore delegato della società controllata dal Tesoro, sono purtroppo stime; infatti i compensi per singolo amministratore non sono facilmente reperibili. Questo potrebbe rispondere all’esigenza di salvaguardare la privacy dell’amministratore delegato, ma essendo la società Ferrovie dello Stato pubblica, sarebbe quantomeno corretto avere i dati precisi sui compensi elargiti agli amministratori.
Bisogna infatti ricordare che i soldi versati alle FS ogni anno da ciascun italiano, anche se non fruitore del servizio ferroviario, , ammontano a circa 75 Euro (media ultimi 9 anni).
La trasparenza potrebbe giovare alla compagnia stessa, in un momento in cui vengono richiesti maggiori contributi da parte dello Stato e al contempo si aumentano le tariffe dei servizi ferroviari.
Il capitolo spese nel bilancio delle Ferrovie dello Stato S.p.A. è composto da altre voci alquanto particolari; siccome circa 4,7 miliardi di Euro di spese per il personale non sono pochi, vengono aggiunti altri 19 milioni per i servizi di consulenza. Evidentemente i 98 mila dipendenti di FS non sono in grado di svolgere tutti i lavori…
I costi operativi superano di 3 miliardi i ricavi delle vendite, ma Ferrovie dello Stato trova 15,5 milioni di Euro da dispensare come contributi ad enti vari e quote associative.
L’impresa gode di una posizione dominante derivante dalla situazione di monopolio legale. La liberalizzazione reale dei servizi ferroviari sarebbe sicuramente la giusta medicina agli sprechi dovuti alle inefficienze.
Manca solo la volontà politica…