sabato 20 dicembre 2008

Un paese declinante in comando politico

Due fatti sono noti e indiscutibili:

  1. che il nostro Paese sia in declino (è sufficiente considerare la crescita economica complessiva dell'ultimo decennio in raffronto agli altri paesi dell'Unione);
  2. che sia in comando politico (non c'è decisione economica di rilievo, ad esempio vendere un'azienda a 'stranieri' da parte dei suoi legittimi proprietari, che possa essere presa senza il beneplacito di chi governa).

Stranamente questi due fatti non sono messi in correlazione tra loro: nessuno sostiene che il nostro Paese sia in declino proprio a causa del fatto che è in comando politico e nessuno sostiene che per interrompere il declino è indispensabile (anche se non necessariamente sufficiente) rimettere la politica al ruolo che le è proprio e interromperne il comando sul sistema economico e sulla società civile.

Ovviamente dovrebbe essere una buona politica a perimetrare e contenere il ruolo di se stessa, liberalizzando tutte le forme di cooperazione volontaria che i soggetti privati desiderano attuare in un contesto di regole certe e meritocratiche: chi produce i risultati migliori senza 'spinte' esterne se li tiene ma la ricetta che ha usato è pubblica e chiunque può copiarla per produrre risultati analoghi (è il meccanismo dei mercati di concorrenza).

Altrettanto ovviamente una cattiva politica si guarderà bene dal limitare se stessa e liberalizzare il Paese. La aiutano lo statalismo di ritorno uscito dal vaso di Pandora aperto dalla crisi finanziaria internazionale, il colbertismo tricolore del Ministro Tremonti (interventismo alla francese condotto con truppe burocratiche all'italiana) e il nazionalismo economico in salsa aeronautica sperimentato dal nostro Presidente del Consiglio col progetto FranCaistein. L'incertezza riguarda pertanto la velocità del declino dell'Italia nei prossimi anni, non il fatto se proseguirà o potrà essere interrotta.

A dimostrazione della previsione è sufficiente guardare alle nostre 'élites' nazionali:

  1. classe politica
  2. imprenditoria
  3. alta dirigenza (privata e pubblica)
  4. intellettuali

Gli intellettuali sono efficaci non quando producono idee interessanti ma quando, avendole prodotte, sono in grado di diffonderle. In Italia, purtroppo, non sono in grado di farlo:

  • gli italiani, salvo una sparuta minoranza, non leggono i giornali;
  • i giornali, anche in questo caso salvo pochissime eccezioni, non sono interessati a pubblicare idee interessanti: potrebbero turbare la tranquilità dei pochissimi lettori rimasti, la disponibilità a spendere degli inserzionisti pubblicitari, la poltrona dei direttori e gli affari economici degli editori; meglio quindi occuparsi dell'arrivo di Beckham o delle vicende amorose di Belen Rodriguez con maggiore soddisfazione per le vendite e buona pace per le idee;
  • per comparire in tv e comunicare col grande pubblico gli intellettuali dovrebbero travestirsi da personaggi stravaganti e farsi reclutare dal Grande Fratello oppure come tronisti dalla De Filippi oppure accordarsi tra di loro per prendersi a botte in diretta televisiva; in tutti i casi non sarebbero in grado di trasmettere idee.

I dirigenti pubblici sono in molti casi un sottoprodotto interno della politica nostrana, politici trombati alle elezioni o sulla via del pensionamento; in tutti i casi dipendono dalla classe politica che essendo mediocre deve per forza dotarsi, se vuole controllarli, di dirigenti ancora meno validi. In conseguenza o sono davvero mediocri oppure debbono comportarsi come tali per poter fare carriera.

Per gli enti locali un tentativo di riforma importante era stato avviato dalla cosiddetta “Bassanini 2”, la L.127 del 1997, che stabiliva per le amministrazioni comunali superiori ai 15 mila abitanti e quelle provinciali la possibilità di introdurre al vertice dell'amministrazione un Direttore generale; l'intento era di realizzare una gestione manageriale dell'ente, volta a esiti efficienti. Dieci anni dopo la riforma Forum P.A. ha realizzato una ricerca per verificare in che modo il provvedimento Bassanini è stato applicato. I risultati sono sconfortanti: solo due comuni su dieci hanno adottato la figura del Direttore generale, quattro hanno affidato l'incarico al Segretario generale (figura la cui competenza tradizionale è la verifica delle legittimità degli atti, non dei loro esiti in termini di efficienza) e altri quattro non si sono avvalsi della riforma. Anche se la propensione a utilizzare un Direttore differente dal Segretario generale sale per i comuni capoluogo e per quelli di maggiori dimensioni, non si hanno inoltre garanzie (e permangono molti dubbi) sulle effettive competenze delle persone nominate, poiché la legge lasciava ampia discrezionalità ai Sindaci e ai Presidenti delle Provincie nella scelta delle persone.

Sui dirigenti privati si potrebbero avere aspettative migliori ma una recente indagine della Fondazione Rodolfo Debenedetti, così sintetizzata da Alberto Statera, smentisce questa possibilità.

Su 603 manager intervistati dalla Fondazione, ben 439 dichiarano di godere di un sistema di bonus aggiuntivo rispetto alla retribuzione. Ma quando i ricercatori chiedono: "A quali fattori è legato l' ammontare del bonus?" la grande maggioranza, quasi il 75 per cento, risponde "a discrezione dell' azienda". Come dire che vince la fedeltà, diventa ricco più che il manager performante il manager "yesman". "Nella sua azienda chiede ancora la ricerca sono previste riunioni di valutazione del management?" Per il 46,4 per cento la risposta è "no", tanto che quasi nessuno crede che esistano meccanismi di promozione accelerata per i manager particolarmente bravi.

Tocca a questo punto agli imprenditori: storicamente in Italia la grande impresa è pubblica e la stagione delle privatizzazioni degli anni '90 non ha rivoluzionato il quadro; anzi, alcuni tra i maggiori imprenditori hanno investito nella privatizzazione di imprese regolate (utilities), riducendo la loro propensione al rischio d'impresa e accrescendo la dipendenza da chi scrive le regole che interessano i diversi settori. Pensare che i piccoli e medi imprenditori possano essere più indipendenti dei grandi dalla politica sarebbe illusorio.

Sulla mediocrità della classe politica è inutile sprecare parole ma anche in questo caso una sintesi può essere data dalle statistiche: la percentuale più alta di laureati tra i parlamentari è stata registrata all'Assemblea Costituente; da allora è continuamente diminuita sino a raggiungere il minimo nell'attuale legislatura, per la cui elezione è stato tolta agli elettori la possibilità delle preferenze (al fine di non correre il rischio che potessero sindacare sulle competenze dei candidati).

E' possibile a questo punto pervenire ad una sintesi dell'Italia sul finire del primo decennio del nuovo millennio: manager yesman dipendono da imprenditori privati i quali dipendono per i loro successi economici dalla peggiore classe politica dell'occidente la quale controlla l'amministrazione pubblica attraverso dirigenti yesman di sua diretta emanazione.

Se l'Italia in queste condizioni non declinasse dovremmo proprio stupirci.

1 commento:

Anonimo ha detto...

mi fà piacere che qualcuno sottolinei questo grosso problema.
Fatto stà che i commenti sono 0 al momento (non interessa a nessuno?)
e comunque sono del parere che abbiamo una classe politica completamente fallita che vive come un parassita sulle spalle degli altri!
Saluti