sabato 4 aprile 2009
F.I.A.T.
Al direttore -
Ora che una nota casa automobilistica torinese si appresta a beneficiare del piano Geithner, possiamo far nostro lo sfottò anglosassone: Fix It Again, Tim.
La Nuova Italia (VI)
mercoledì 1 aprile 2009
La Nuova Italia (V)
a) è noto che remunerazione e indennità del singolo parlamentare italiano sono le più alte tra tutti i Parlamenti occidentali e che:
b) i nostri parlamentari sono i più numerosi tra tutte le democrazione occidentali.
Per queste ragioni:
c) il costo del lavoro dell'insieme dei nostri parlamentari è il più alto di tutto l'occidente,
mentre:
d) il prodotto autonomo dei parlamentari (progetti di legge nati in Parlamento e approvati) si sta azzerando e, di fatto, la loro attività si limita ad approvare a tamburo battente e senza modifiche autonome decreti e disegni di legge del governo.
Se, in conseguenza, mettiamo a rapporto il costo del lavoro dei parlamentari (che ha dimensioni positive e consistenti) con il loro prodotto autonomo, che tende a zero, il rapporto tra le due variabili tende a infinito.
Forse bisognerebbe avvisare in tal senso gli autori della 'Casta'.
venerdì 27 marzo 2009
La Nuova Italia (IV)
Interpretando correttamente ne desumiamo che gli albanesi avessero smesso del tutto di sbarcare in Italia e che ogni 100 albanesi non più sbarcati in Italia 20 italiani si fossero buttati a nuoto per raggiungere le coste albanesi. Non ne sappiamo le motivazioni; forse perchè lui era ritornato a capo del governo?
martedì 24 marzo 2009
La Nuova Italia (III)
giovedì 19 marzo 2009
venerdì 13 marzo 2009
La Nuova Italia
martedì 10 marzo 2009
sabato 7 marzo 2009
Editing Reality with Both Hands
In breve: DeLong aveva sostenuto - utilizzando una citazione del presidente Hoover - che la sua amministrazione avesse aderito nelle more della Grande Depressione ad una prospettiva liquidazionista. L'ottimo Bob Murphy si è preso la mira di verificare la citazione ed ha appurato che essa era stata estrapolata dal contesto e dimostrava in realtà l'opposto.
A questo punto DeLong ha risposto a Murphy... tagliando la parte che dimostrava il suo utilizzo disinvolto delle fonti! Inoltre, per non farsi mancare nulla, ha dato una sforbiciata anche ad un commento di Steve Horwitz che evidenziava come neppure il Segretario del Tesoro Andrew Mellon sposasse le teoria liquidazionista.
Davvero non male per uno che ha intitolato il suo blog "Grasping Reality with Both Hands" e che ebbe a definire memorabilmente gli economisti contrari allo stimulus «ethics-free Republican hacks».
[HT: Steve Horwitz @ The Austrian Economists]
giovedì 5 marzo 2009
Un network per la libertà
Questo è il video che ne presenta ufficialmente la costituzione. Siamo certi che la nuova struttura e l'affiliazione con l'Atlas Foundation permetteranno di potenziare le attività di diffusione della cultura liberale in un numero sempre maggiore di paesi. Benvenuta, Global Initiative!
mercoledì 4 marzo 2009
Alitalia - Trenitalia: il litigio e un solo perdente.
Non sono mai stato tenero nei confronti di Trenitalia, ma questo battibecco sembra essere fuori luogo; entrambi gli operatori, i principali sulla Milano – Roma, non conoscono la concorrenza e la parola mercato è al di fuori del loro vocabolario.
Mauro Moretti, amministratore delegato di Ferrovie dello Stato, ha affermato che l’alta velocità non riceve sussidi statali, dopo che Sabelli aveva denunciato 3,6 miliardi di aiuti statali al settore ferroviario nel 2008.
Purtroppo l’amministratore delegato di Alitalia compie un errore: infatti i miliardi statali dati a FS erano già 4,3 nel 2007 e se l’aumento dovesse essere del 17 per cento, come affermato, si potrebbe arrivare alla cifra astronomica di 5 miliardi di euro.
A questo denaro pubblico che ogni anno lo Stato versa nelle casse delle Ferrovie pubbliche, sono da aggiungere gli aumenti di capitale che sono stati fatti quasi puntualmente, tanto che negli ultimi anni la media annuale di sussidi pubblici a FS ammonta a circa 7 miliardi di euro.
L’alta velocità forse non riceve sussidi, ma certo il costo dell’infrastruttura ferroviaria, che è costata oltre 35 milioni di euro al chilometro, non è stata ripagata da Trenitalia, ma dallo Stato.
Alitalia è stato un caso quasi singolare nel trasporto aereo europeo negli ultimi anni in quanto ha ricevuto molti aiuti di stato che l’Istituto Bruno Leoni ha puntualmente criticato. Tuttavia in generale il trasporto aereo si mantiene sulle proprie gambe, al contrario del trasporto ferroviario; la stessa Unione Europea ha ammesso in uno studio del 2006 che l’aereo è più efficiente per le tratte a partire da 250 km chilometri.
In effetti un viaggio tra Milano e Roma, offerto da una compagnia aerea low cost, costa circa 4/5 centesimi di euro per posto chilometro offerto e significa che il costo operativo per una tratta del genere non raggiunge i 30 euro.
E per il treno? Il costo è sicuramente più che doppio e non si capisce perché lo Stato debba sussidiare tale tipologia di trasporto anche solo tramite la costruzione di un’infrastruttura ad alta velocità.
La risposta più “abusata” è questa: “si costruiscono linee ad alta velocità per incentivare l’uso del treno”
Peccato che in Gran Bretagna, dove praticamente non esiste un chilometro di alta velocità, il traffico ferroviario sia stato quello che maggiormente si è sviluppato in Europa negli ultimi 12 anni; più della Francia che spende oltre 11 miliardi di euro l’anno nelle ferrovie, contro i 4 del Regno Unito
Quale è il motivo di questo sviluppo? Semplicemente è stata introdotta una reale competizione tra gli operatori ferroviari, tanto che la prima compagnia ferroviaria ha una quota di circa il 20 per cento del mercato. Il mercato ferroviario è stato liberalizzato ed è quasi raddoppiato, nonostante in Gran Bretagna ci sia un tasso di penetrazione più elevato delle compagnie low cost sulle tratte domestiche (hanno ormai il 50 per cento del mercato aereo).
E in Italia quale è stato l’unico “miracolo” compiuto?
Quello di essere riusciti ad avere un monopolista pubblico sui binari e un monopolista privato sulla Linate – Fiumicino nei cieli.
Alitalia si lamenta di Trenitalia, ma detiene circa il 98 per cento del mercato tra Linate e Fiumicino, dopo che la legge 166 del 2008 ha impedito all’antitrust di intervenire sulla posizione di monopolio venutasi a creare dopo la fusione tra la vecchia Alitalia ed Airone.
In Italia, non abbiamo bisogni di “miracoli”, ma di più mercato, altrimenti il perdente sarà sempre e solo il cittadino italiano, sia come contribuente che come consumatore.
martedì 24 febbraio 2009
Il Baricco che non ti aspetti
Il mondo della cultura e dello spettacolo, nel nostro Paese, è tenuto in piedi ogni giorno da migliaia di persone, a tutti i livelli, che fanno quel lavoro con passione e capacità: diamogli la possibilità di lavorare in un campo aperto, sintonizzato coi consumi reali, alleggerito dalle pastoie politiche, e rivitalizzato da un vero confronto col mercato.
[HT: Camillo e Wittgenstein]
mercoledì 18 febbraio 2009
martedì 17 febbraio 2009
5 righe sulla crisi
(Più di 5 righe su ilsussidiario.net)
sabato 7 febbraio 2009
15 Marzo 2010: Alitalia è francese
Peccato che Air Dolomiti è in concorrenza con Alitalia, poiché fa parte del gruppo Lufthansa.
Forse al presidente è sfuggito il fatto che in questo modo si fa concorrenza in casa…
A parte questa affermazione che non è poi cosi grave, perché ogni persona è libera di scegliere l’operatore e lo scalo preferito, ne è seguita un’altra molto più grave.
L’amministratore delegato di Alitalia, Rocco Sabelli, ha mentito davanti alle Commissioni congiunte, affermando che il load factor della nuova compagnia è stato del 43 per cento contro il 50 per cento dello scorso anno; peccato che il load factor di Alitalia era al 64,61 per cento e quello di Airone al 48,46 per cento. Insieme le due compagnie avevano un load factor pari al 62,59 per cento, cioè circa venti punti percentuali in più rispetto ala nuova Alitalia. La fonte dei dati è AEA, cioè l’associazione che raggruppa i vettori tradizionali in Europa.
Come fa il “vettore di bandiera” dirsi soddisfatto?
Se anche dovesse migliorare il LF rispetto a Gennaio, nell'anno in media la nuova Alitalia supererà il 65 per cento di riempimento dei propri aerei, inferiore di 7 punti rispetto allo stesso piano Fenice, ma comunque superiore rispetto al livello di load factor raggiunto da AirOne nel 2008.
Se cosi fosse ci sarebbero ricavi inferiori per circa 500 milioni di euro, con la stima ottimistica di uno yield stabile pur essendo in periodo di crisi (ad esempio Ryanair lo ha abbassato del 20 per cento, per mantenere stabile il LF).
Sabelli ha poi affermato davanti alla Commissione che le compagnie low cost avrebbero abbassato il proprio load factor, riportando cifre senza precisare i vettori.
Andando ad analizzare le due principali compagnie low cost in Europa ed in Italia, dove hanno una quota di mercato del mercato low cost superiore al 50 per cento si denota un’altra volta un’imprecisione da parte dell’amministratore delegato di Alitalia. Easyjet in Gennaio ha si diminuito il load factor al 72 per cento (30 punti percentuali in più rispetto ad Alitalia), ma nel corso degli ultimi 12 mesi lo ha incrementato arrivando a sfiorare l’85 per cento. Ryanair lo ha mantenuto stabile al 69 per cento a Gennaio e superiore all’80 per cento nell’ultimo anno.
A quali low cost si riferiva l’AD di Alitalia? Sicuramente non ai due maggiori concorrenti.
mercoledì 4 febbraio 2009
1/2 Alitalia trasporta 1/4 dei vecchi passeggeri
"In queste settimane il load factor medio di Alitalia e' sceso al 43% dal 50% di gennaio 2007 (Alitalia piu' Airone)". (Radiocor)
Trovano pertanto conferma ufficiale i dati che erano trapelati da fonti sindacali e aeroportuali e che indicavano come gli aerei della nuova compagnia viaggiassero semivuoti. Il 43% di Sabelli appare persino ottimistico: l'Anpac aveva indicato pochi giorni fa un dato del 39% mentre oggi stesso, nel corso di un'audizione presso la Commissione Territorio della Regione Lombardia, il Presidente di Sea Giuseppe Bonomi ha dichiarato che gli aerei Alitalia che volano su Malpensa hanno un coefficiente di riempimento del 30% e quelli che volano su Linate del 40%. Questi valori corrispondono a un dato medio per Alitalia nei due aeroporti Sea del 37%.
Considerando che si tratta dei due aeroporti italiani nei quali l'offerta della nuova compagnia si è ridotta di più rispetto ai due vettori preesistenti, è difficile pensare che il load factor dei voli Alitalia che non toccano Malpensa e Linate sia tale da portare il 37% di Milano al 43% medio.
Si tratta ovviamente di un'ipotesi; è invece certo che il load factor di Alitalia e AirOne nel gennaio 2008 non era al 50% ma molto più alto. Sabelli ha quindi raccontato una bufala ai parlamentari riuniti delle due autorevoli commissioni: nel gennaio 2008 il load factor di Alitalia è stato del 64,6% (67,0% nel gennaio 2007) e quello di AirOne del 48,5% (44,7% nel gennaio 2007), il peggiore tra tutti i vettori europei. Per l'insieme delle due compagnie il load factor nel gennaio 2008 è stato pari al 62,6%, molto vicino al valore di Alitalia in quanto il vettore pesava quasi sette volte AirOne in termini di posti km offerti e poco meno di dieci in termini di posti km venduti.
La caduta del load factor risulta pertanto vicina ai venti punti percentuali in un anno (26 punti se avesse ragione Giuseppe Bonomi) ed evidenzia la situazione molto critica che interessa il nuovo vettore già al momento del suo decollo. Questa caduta della domanda, dovuta alla crisi del vecchio vettore, all'insufficiente credibilità del nuovo, a tariffe elevate (effettive o comunque attese dal consumatore) e alla recessione economica, si verifica inoltre dopo un'ampia sforbicita dell'offerta che la nuova compagnia ha dato rispetto alle due preesistenti. Non sembra essere emerso nell'audizione parlamentare ma rispetto al gennaio 2008 nel mese scorso Alitalia e AirOne hanno complessivamente tagliato i voli nazionali del 33% e quelli internazionali (europei e intercontinentali) del 54%. I voli totali offerti sono pertanto diminuiti del 42%.
Posta uguale a 100 l'offerta del gennaio 2008, la domanda dei passeggeri era pari a 63. Oggi la domanda è pari a 43 (se ha ragione Sabelli) se continuamo a porre l'offerta pari a 100. Ma l'offerta di oggi è solo il 58% di quella di un'anno fa e i passeggeri rispetto a un anno fa sono il 43% del 58%, cioè il 25%.
In sintesi possiamo dire che (per ora) il piano di rinascita Fenice ha lasciato per strada (o nell'hangar) quasi metà delle due vecchie aziende e i tre quarti dei vecchi passeggeri. Un'Alitalia dimezzata trasporta solo un quarto dei passeggeri di una volta.
Errata corrige: Rettifico un dato del testo precedente: in realtà i passeggeri di gennaio 2009 della nuova Alitalia sono il 25% rispetto ai posti offerti AZ+AP nel gennaio 2008 mentre rispetto ai passeggeri AZ+AP di gennaio 2008 sono il 40%. La riduzione dei passeggeri non è quindi del 75% ma (solo) del 60%. In sintesi: posta uguale a 100 l'offerta AZ+AP di gennaio 2008, i passeggeri di allora erano 63, i posti offerti nel gennaio 2009 sono stati 58 e i passeggeri 25. L'offerta di posti si è quindi ridotta del 42%, la domanda del 60% e il load factor è passato dal 63 al 43%. Spiego meglio il tutto sul ilsussidiario.net.
martedì 3 febbraio 2009
Almeno sono coerenti
Gli inglesi fanno bene: con la crisi la tua gente viene prima di tuttoIl capogruppo leghista alla Camera Cota:
Hanno ragione gli operai inglesi[HT: Lakeside Capital]
No al protezionismo
Nonostante questo appello, un vento di “chiusura” soffia sopra l’economia mondiale; il pacchetto di “rilancio” del presidente degli Stati Uniti d’America, Barack Obama, contiene una clausola molto preoccupante, la cosiddetta “Buy American”. Se tale misura dovesse essere confermata al Senato, i rischi di passare da una recessione ad una depressione diventerebbero reali.
Il protezionismo nel settore delle opere pubbliche ed in particolare per le forniture di acciaio e di calcestruzzo vanno nella direzione sbagliata e se dovessero essere attuate, i partner commerciali degli Stati Uniti prenderebbero le contromisure in seno al WTO.
E dove porterebbe la misura di Obama? Semplicemente ad un innalzamento delle barriere doganali e al rallentamento ulteriore del commercio internazionale che già quest’anno si prevede in forte diminuzione a causa della crisi globale.
“Buy American” rischia di trasformarsi in “Depression’s World” e anche le “scaramuccie” tra il Ministro del Tesoro Americano e le autorità cinesi sui tassi di cambio sembrano andare nella direzione opposta a quella auspicabile.
In periodi di difficoltà economica è abbastanza ovvio, seppur non condivisibile, che si chiedano maggiori tutele, come è stato anche il caso della Gran Bretagna, con la protesta di alcuni sindacati che vogliono mantenere britannici i posti di lavoro.
Le parole di Gordon Brown di difendere i posti di lavoro britannici, poi precisate, sono un’altra indicazione sbagliata che arriva all’economia mondiale nel momento di grande difficoltà.
I dati sono preoccupanti come mostra la caduta del 3,8 per cento del prodotto interno lordo americano nell’ultimo trimestre dello scorso anno e i primi mesi del 2009 potrebbero essere ancora più duri.
I dati indicano recessione, ma certi politici preferiscono definire quella in atto la più grande crisi dal 1929. Attualmente le informazioni disponibili indicano che la crisi forse è la più grave negli ultimi 30 anni e non ha ancora nessun paragone con la “Grande Depressione”.
Sono i dati che parlano senza equivoci: in Germania la disoccupazione è ai livelli più elevati da un anno a questa parte, tuttavia circa 1,8 milioni di disoccupati in meno rispetto al 2005. L’economia tedesca potrebbe essere uscita dalla recessione nell’ultimo trimestre dell’anno scorso e anche in Spagna, paese molto colpito dalla caduta del settore immobiliare, il tasso di disoccupazione, seppur molto elevato è ancora molto distante dai tassi antecedenti al Governo Aznar.
La richiesta di maggiore regolazione serve alla classe politica per riconquistare quello spazio e quel potere che il mercato le ha sottratto negli ultimi anni; potrebbe sembrare un’affermazione fuori dal coro, ma si potrebbe dire che “per fortuna la politica è uscita dal mercato”.
Gli anni dell’inflazione a doppia cifra si registravano quando la politica monetaria delle banche centrali erano sotto il controllo dei Governi ed in generale la politica nel mercato non è mai stata troppo efficiente.
Alla crisi del ’29 si è risposto con maggiore protezionismo, si ricordi “quota 90” nell’Italia fascista e l’esito è stato una terribile guerra mondiale.
Protezionismo e nazionalismo vanno spesso “a braccetto” e dunque è necessario che s’imprima una svolta verso un accordo nel Doha Round.
Si è addirittura sentita la proposta di interrompere gli accordi Schengen e di libera circolazione delle persone e dei lavoratori; la semplificazione alla base di questa grave affermazione, la stessa posizione dei sindacati britannici, è quella per la quale i posti di lavoro sono rubati. Non sarebbe difficile comprendere invece che proprio da una limitazioni delle barriere le economie possono diventare più efficienti e quindi riprendere la strada dello sviluppo, ma la semplificazione politica a volte prende il sopravvento sul buon senso.
Al posto di chiedere maggiore regolazione, i politici devono impegnarsi seriamente per rilanciare il Doha Round e dare slancio al commercio estero, perché solo in questo modo si immette fiducia nel mercato e si evita di cadere nella temuta depressione.
Maggiore trasparenza, come richiesto dal Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, è indispensabile affinché non ci siano asimmetrie informative, ma la maggiore regolazione invece andrebbe in direzione opposta.
Meno regole, ma più trasparenza.
Meno barriere al commercio e più sviluppo economico.
Due semplici ricette al posto della temibile accoppiata perdente “protezionismo-nazionalismo”.
sabato 31 gennaio 2009
Luoghi comuni al contrario
La politica è la continuazione della guerra con altri mezzi.A me piace molto anche questo:
Se voti, poi non hai il diritto di lamentarti.Quali luoghi comuni al contrario vengono in mente ai lettori di Liberalizzazioni?
venerdì 30 gennaio 2009
Libero tandoori in libera polenta
Chissà perché da noi le buone idee non partoriscono libertà, ma divieti. È indubbiamente una buona idea quella di ripopolare i centri storici con negozi e ristoranti che diffondano i prodotti tipici del territorio. Ma è una stupidaggine pensare di realizzarla espellendo dai vicoli i kebab e gli involtini primavera. [...] Il modo migliore per limitare i kebab non è vietarli, ma liberalizzare gli esercizi pubblici, così da mettere i nostri ragazzi in condizione di aprire i loro spacci di porchetta, cotoletta, pane e salame e bagnacauda.[HT: Altri mondi]
domenica 25 gennaio 2009
Quel che è mio è mio...
Ma è interessante prendere atto di un paio di reazioni degli sfrattati. Marysa Moroni, figlia di Primo, ha espresso preoccupazione per la sorte dell'archivio del padre, «proprietà privata mia e di mia madre». I più arditi tra gli occupanti, invece, chiedono addirittura - in spregio del buon senso, oltreché del codice - il riconoscimento dell'avvenuta usucapione dello stabile.
C'è veramente molto di surreale nel bispensiero di questi signori, che esigono la tutela dell'istituto borghese per eccellenza, il diritto di proprietà, non soltanto dopo averne postulato per decenni l'abolizione, ma dopo averlo bellamente calpestato con l'occupazione.
Coloro che urlano, come fanno alcuni energumeni armati di kefiah su Facebook, «riappropriamoci dei nostri spazi, dei nostri diritti, perchè noi non vogliamo una Milano fatta solo di palazzi grigi e di locali costosi!» dovrebbero spiegare (a) cosa facevano quando alle elementari si spiegavano gli aggettivi possessivi, e (b) se abbiano mai pensato all'innovativa soluzione di affittare uno spazio, anziché requisirlo con la forza.
Purtroppo, è sempre valido l'antico adagio: «quel che è mio è mio...».
sabato 24 gennaio 2009
L’anno cinese
La soluzione politica trovata, come più volte ricordato, è stata quella di salvare le banche tramite anche ricapitalizzazione pubbliche, rendendo il fallimento un’opzione non possibile e garantendo impunità alle gestioni fallimentari.
Se il 2008 è stato l’anno della crisi finanziaria, il 2009 quasi certamente sarà l’anno della recessione dell’economia. Gli indicatori mostrano che l’ultimo trimestre dell’anno è stato “pesantissimo” per tutte le economie, con tassi di decrescita del prodotto Interno Lordo che potrebbero toccare anche punte del – 5 per cento; inoltre l’anno appena cominciato non promette nulla di buono. Nel complesso la Commissione Europea prevede un PIL in diminuzione del 2 per cento in Europa.
La soluzione di molti Governi è stata quella di fare politiche di deficit spending, provocando buchi di bilancio statali che potrebbero raggiungere il 10 per cento in molti paesi occidentali. La Germania, paese leader dell’Unione Europea, potrebbe chiudere con deficit sotto la soglia del 3 per cento, nonostante “gli aiuti” promessi da Angela Merkel.
La Gran Bretagna, uno dei paesi più colpiti dalla crisi invece, dovrebbe chiudere con un “buco” di quasi nove punti percentuali; il “vantaggio” del Regno Unito è quello di non fare parte dell’Euro e può quindi utilizzare la svalutazione della propria moneta come ulteriore arma in risposta della crisi. Tuttavia come insegna l’Italia, la svalutazione competitiva non è un’ottima arma perché non permette alle aziende di ristrutturarsi in periodi di crisi e a medio termine è presente il rischio concreto che tale arma diventi a “doppio taglio”.
Se la Germania è relativamente parca nel deficit spending, altri Stati dell’Unione Europea non hanno lo stesso atteggiamento.
Non è un caso che la crisi sta portando a spread sui titoli decennali molto elevati verso Paesi quali la Grecia, l’Irlanda o il Portogallo e anche la stessa Italia che risente di un debito pubblico troppo elevato.
Se il 2009 è un anno difficile dentro l’Unione Europea, i maggior problemi potrebbero invece derivare dall’economia che più è cresciuta negli ultimi decenni: la Cina.
Nel paese asiatico, dopo la liberalizzazione economica voluta nel 1978 da Deng Xiao Ping, la crescita economica è stata quasi sempre continua per circa 30 anni, portando fuori dalla povertà decine di milioni di cinesi. Nell’ultimo trimestre del 2008 il gigante asiatico ha visto il rallentamento del PIL fino al 6,8 per cento; questo dato, così eclatante per le economie occidentali, per la Cina in realtà è un dato molto preoccupante. Ora, la Cina necessita di una crescita economica continua per soddisfare i milioni di persone che dalle campagne vanno a cercare lavoro nelle grandi città, ma se la crescita si ferma c’è il rischio di insorgenza di gravi problemi, non solo per i cinesi, ma per tutto il mondo.
La crescita annua è stata superiore al 9 per cento nel 2008, ma il 2009 potrebbe essere l’anno della frenata cinese, con il Pil che potrebbe arrestarsi.
Altri indicatori che arrivano dall’Asia sono preoccupanti; l’export giapponese è caduto gravemente nell’ultimo trimestre, la Corea del Sud sta entrando in recessione e il quadro nell’economia asiatica è molto fosco. La Cina, che commercia sempre più con i partner della zona risentirà certamente della recessione dei paesi vicini.
L’ultimo rallentamento economico in Cina si è avuto dopo 10 anni di crescita continua ed è coincisa con la prima protesta organizzata culminata nei tragici fatti di Tienanmen. Alcuni studi indicano che c’è una certa correlazione tra libertà economica e libertà civile, ma questa correlazione diventa presente ed evidente solo nel momento in cui si evidenzia una crisi economica.
Il 2009 forse vedrà finalmente l’aumento delle libertà civili in Cina, ma c’è il concreto rischio di una forte instabilità nel paese asiatico che potrebbe portare a delle conseguenze molto gravi.
Cosa si può fare? In questo periodo di crisi e di contrazione dell’export è necessario abbassare tutti i dazi doganali e le barriere esistenti nel commercio internazionale. Solo in questo modo si può sperare che le esportazioni possano riprendersi il più velocemente possibile. Alzare le protezioni potrebbe aggravare maggiormente la crisi ed è bene ricordare che negli anni ’30, la “Grande Depressione” fu peggiorata dall’innalzamento delle barriere doganali e la conclusione fu una terribile guerra mondiale.
La prossima riunione del G8 deve quindi dare l’impulso alla ripresa del Doha Round affinché si liberalizzi il commercio internazionale piuttosto che imporre un’altro eccesso di regolazione.
Vediamo se Barack Obama, assistito dall’Europa, sarà in grado di assicurare il cambiamento promesso e necessario.