martedì 3 febbraio 2009

No al protezionismo

Non è forse un caso che l’appello “no al protezionismo” al termine del World Economic Forum tenutosi a Davos settimana scorsa abbia visto in testa Germania e Cina; i due paesi sono infatti i maggiori esportatori mondiali e sono anche quelli che subirebbero gli effetti più nefasti dall’innalzamento di nuove barriere al commercio internazionale.
Nonostante questo appello, un vento di “chiusura” soffia sopra l’economia mondiale; il pacchetto di “rilancio” del presidente degli Stati Uniti d’America, Barack Obama, contiene una clausola molto preoccupante, la cosiddetta “Buy American”. Se tale misura dovesse essere confermata al Senato, i rischi di passare da una recessione ad una depressione diventerebbero reali.
Il protezionismo nel settore delle opere pubbliche ed in particolare per le forniture di acciaio e di calcestruzzo vanno nella direzione sbagliata e se dovessero essere attuate, i partner commerciali degli Stati Uniti prenderebbero le contromisure in seno al WTO.
E dove porterebbe la misura di Obama? Semplicemente ad un innalzamento delle barriere doganali e al rallentamento ulteriore del commercio internazionale che già quest’anno si prevede in forte diminuzione a causa della crisi globale.
“Buy American” rischia di trasformarsi in “Depression’s World” e anche le “scaramuccie” tra il Ministro del Tesoro Americano e le autorità cinesi sui tassi di cambio sembrano andare nella direzione opposta a quella auspicabile.

In periodi di difficoltà economica è abbastanza ovvio, seppur non condivisibile, che si chiedano maggiori tutele, come è stato anche il caso della Gran Bretagna, con la protesta di alcuni sindacati che vogliono mantenere britannici i posti di lavoro.
Le parole di Gordon Brown di difendere i posti di lavoro britannici, poi precisate, sono un’altra indicazione sbagliata che arriva all’economia mondiale nel momento di grande difficoltà.
I dati sono preoccupanti come mostra la caduta del 3,8 per cento del prodotto interno lordo americano nell’ultimo trimestre dello scorso anno e i primi mesi del 2009 potrebbero essere ancora più duri.

I dati indicano recessione, ma certi politici preferiscono definire quella in atto la più grande crisi dal 1929. Attualmente le informazioni disponibili indicano che la crisi forse è la più grave negli ultimi 30 anni e non ha ancora nessun paragone con la “Grande Depressione”.
Sono i dati che parlano senza equivoci: in Germania la disoccupazione è ai livelli più elevati da un anno a questa parte, tuttavia circa 1,8 milioni di disoccupati in meno rispetto al 2005. L’economia tedesca potrebbe essere uscita dalla recessione nell’ultimo trimestre dell’anno scorso e anche in Spagna, paese molto colpito dalla caduta del settore immobiliare, il tasso di disoccupazione, seppur molto elevato è ancora molto distante dai tassi antecedenti al Governo Aznar.

La richiesta di maggiore regolazione serve alla classe politica per riconquistare quello spazio e quel potere che il mercato le ha sottratto negli ultimi anni; potrebbe sembrare un’affermazione fuori dal coro, ma si potrebbe dire che “per fortuna la politica è uscita dal mercato”.
Gli anni dell’inflazione a doppia cifra si registravano quando la politica monetaria delle banche centrali erano sotto il controllo dei Governi ed in generale la politica nel mercato non è mai stata troppo efficiente.

Alla crisi del ’29 si è risposto con maggiore protezionismo, si ricordi “quota 90” nell’Italia fascista e l’esito è stato una terribile guerra mondiale.
Protezionismo e nazionalismo vanno spesso “a braccetto” e dunque è necessario che s’imprima una svolta verso un accordo nel Doha Round.

Si è addirittura sentita la proposta di interrompere gli accordi Schengen e di libera circolazione delle persone e dei lavoratori; la semplificazione alla base di questa grave affermazione, la stessa posizione dei sindacati britannici, è quella per la quale i posti di lavoro sono rubati. Non sarebbe difficile comprendere invece che proprio da una limitazioni delle barriere le economie possono diventare più efficienti e quindi riprendere la strada dello sviluppo, ma la semplificazione politica a volte prende il sopravvento sul buon senso.

Al posto di chiedere maggiore regolazione, i politici devono impegnarsi seriamente per rilanciare il Doha Round e dare slancio al commercio estero, perché solo in questo modo si immette fiducia nel mercato e si evita di cadere nella temuta depressione.
Maggiore trasparenza, come richiesto dal Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, è indispensabile affinché non ci siano asimmetrie informative, ma la maggiore regolazione invece andrebbe in direzione opposta.

Meno regole, ma più trasparenza.
Meno barriere al commercio e più sviluppo economico.
Due semplici ricette al posto della temibile accoppiata perdente “protezionismo-nazionalismo”.

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