martedì 30 settembre 2008

Il (non) vero e il falso del Foglio

Il Foglio di ieri riporta un pezzo molto interessante dal titolo "Alitalia - Il gioco del vero e del falso. Qualche informazione utile prima del decollo della nuova compagnia". Nell'articolo, che condivido quasi integralmente, vi è tuttavia un 'non vero' che riguarda la produttività del personale di volo:

"Piloti pigri. Da qualche settimana sappiamo tutti come sono efficienti i comandanti di Air France (650 ore di volo) e Lufthansa (700), esempi virtuosi per il personale navigante. E’ una verità quindi che le aquile tricolori volano meno (570). E’ altresì una verità quanto sostiene Anpac, ossia che il contratto Alitalia consentirebbe di superare tedeschi e francesi, poiché il limite d’impiego è fissato in 900 ore annue. “Se ciò non avviene, è colpa dell’azienda che mal ci impiega”, affermano i sindacalisti. C’è però una terza verità da aggiungere, dentro la compagnia tutta la direzione che supervisiona l’attività di volo e che malimpiega i piloti è un monocolore Anpac. I posti chiave sono tutti presidiati da iscritti al sindacato di Berti."

Il testo precedente non spiega se le aquile tricolori volano di meno dei loro cugini francesi e tedeschi perchè non vogliono volare di più (cugini in realtà dei nullafacenti di Brunetta e Ichino?) o per altri motivi e lascia intendere che la ragione sia la prima. Pur occupandomi con intensità e da tempo del trasporto aereo non ho una risposta netta sulla produttività dei piloti. Posso però ricordare che i piloti non volano da soli, con la rilevante eccezione del trasvolatore della Manica dotato di ali in fibra di carbonio, ma al comando di aerei e che la minore produttività dei piloti di Alitalia è un riflesso della minore produttività delle macchine (meno ore volate in un anno rispetto alle altre compagnie).

Da cosa dipende la minore produttività degli aerei di Alitalia posso però spiegarlo e non c'entra nulla con la voglia di lavorare dei piloti o il potere del sindacato di Fabio Berti: dipende dal fatto che Alitalia vola prevalentemente sul breve-medio raggio mentre gli altri grandi vettori europei volano sul lungo (dove realizzano tra l'80 e il 90% del traffico). Purtroppo l'85% degli aerei Alitalia, quelli destinati al breve-medio raggio, vola in media solo 2500 ore l'anno che corrispondono esattamente a 410 minuti al giorno e a 6 voli quotidiani da un'ora e dieci, in sostanza a 6 voli sulla Milano Roma o su tratte equivalenti. Purtroppo per Alitalia, tuttavia, non è possibile aumentare il numero di voli quotidiani per macchina oltre i 6 (non vi riesce neanche Ryanair) perchè si dovrebbe volare in ore notturne prive di interesse per i clienti (a differenza dei consumatori transatlantici che volano volentieri anche di notte). Nei voli intercontinentali, invece, la possibilità di utilizzare le ore notturne fa aumentare notevolmente la produttività degli aerei perchè permette di percorrere molti più chilometri. Persino le pochissime macchine di Alitalia dedicate al lungo raggio volano in media circa 4900 ore l'anno, corrispondenti a 13 ore e mezza al giorno (che equivalgono a un viaggio Roma-Los Angeles).

Abbiamo a questo punto capito perchè la produttività degli aerei (e probabilmente anche quella dei piloti) di Alitalia è più bassa: Milano e Roma sono troppo vicine; se Roma stesse a Reggio Calabria la produttività sarebbe molto più alta. Potremmo suggerirlo agli amici di CAI: spostiamo Roma un pò più in giù, così i piloti volano molto di più.

P.S. 1: Il lettore avrà notato che ci ho messo un pò per spiegare l'arcano; se avessi sostenuto che i piloti AZ preferiscono sindacaleggiare anzichè volare me la sarei cavata con molte meno parole e minor sforzo intellettuale.

P.S. 2: Trarre da descrizioni (i piloti AZ volano meno degli altri) prescrizioni (dovrebbero volare in maniera eguale) può essere ingannevole se non si individua la ragione normativa (la sottostante teoria) per la quale questo possa verificarsi o meno. Ce lo aveva già ricordato David Hume qualche tempo fa.

4 commenti:

stef ha detto...

Volevo ringraziarla per aver svelato l'arcano, cosa che neanche l'associazione professionale dei piloti è stata capace più di tanto di spiegare. Il parametro da confrontare sono le ore di servizio. Questo è l'indicatore dell' "impegno" da parte del personale di volo.
Ryan che costruisce l'attività in base alle sue esigenze di ottimizzazione, cosa che le consente profitti colossali a fronte di un prezzo di facciata (esclusi oneri occulti a carico degli aeroporti) basso, con una "produttività", nel senso di ore di volo medie annue per pilota, elevatissima. L' "impegno", ovvero le ore di servizio, (tempo di lavoro: da quando il pilota arriva in "ufficio" a quando finisce di lavorare) di un pilota ryanair è più ridotto rispetto a quello di un pilota alitalia.
Paradossale ma vero. Vediamo perchè.

Ryanair. La logica del point to point su tratte non di corto ma di medio raggio, con transiti di appena 25 minuti (possibili utilizzando aeroporti piccoli e periferici non trafficati, con contratti per i servizi a terra che fanno letteralemente "correre" i fornitori dei servizi stessi per non far fare ritardo) consente di utilizzare al meglio le risorse: personale e aerei. Ecco i 6 cicli nelle 16 ore utili.

Alitalia, con le sue esigenze di network (coincidenze con le partenze di lungo raggio), l'operatività da aeroporti congestionati (nelle ore di punta i tempi di rullaggio a volte sono simili a quelli in volo e il tempo per i servizi a terra si dilata), le tratte brevi (MI-ROMA 50' di volo a fronte di un tempo di allestimento del velivolo di 40' prima del volo, 15' di rullaggio alla partenza e altri 5' all'arrivo), e diciamo scelte commerciali non sempre azzeccate non riesce ad ottenere gli stessi risultati in termini di efficienza. La causa è da ricercare nelle scelte industriali (hub vs point-to-point) nei limiti fisici degli aeroporti (traffico aereo) nei limiti commerciali (efficienza degli handler aeroportuali). Capacità gestionale.

Ho letto con molto interesse le sue valutazioni sul piano industriale CAI.
Un dato che non mi è sembrato di vedere che ritengo utile è l'incasso per singolo passeggero (perdoni l'ignoranza di un termine economico adeguato ma gli studi umanistici me ne hanno lasciato sfornito). Da verificare l'ipotesi che Alitalia ricava 185euro, in media da ogni biglietto, Airfrance 310euro. Quindi uno dei problemi di Alitalia è pardossalmente che incassa poco. Non voglio certo dire che le sue tariffe siano basse ma la questione è un'altra. Nella flotta di Airfrance la composizione degli aeromobili è sbilanciata a favore di quelli di lungo raggio così come avviene per Lufthansa. Queste compagnie in quanto global carrier letteralmente portano i passeggeri in giro per il mondo. Attività, quella del lungo raggio, ancora redditizia, perchè non aggredita dalle lowcost ma con player che hanno strutture aziendali e costi omogenei, dove le compagnie fanno a gara a offrire prodotti di alta gamma (business class First class) tipologia di servizio altamente appetibile sui voli lunghi e con grossi margini.
Alitalia al contrario, grazie ad un susseguirsi di scelte industriali e strategiche rivelatesi miopi e fallimentari ha perso quasi completamente la sua vocazione globale (gli aerei di lungo raggio sono una frazione della flotta) e si è ridotta a dover competere in un mercato, quello del medio-corto raggio, poco redditizio ed esposto agli attacchi di vettori più snelli e più aggressivi con un management capace e dinamico in grado di sottrarre quote considerevoli di passeggeri e in grado di cogliere nuove opportunità.
Ovviamente anche la politica dei trasporti non solo non è stata neutrale, ma la mancanza di un appproccio sistemico ha aperto spazi che hanno favorito la concorrenza.

Grazie
Stefano

ugo arrigo ha detto...

La ringrazio moltissimo per la testimonianza. Purtroppo le competenze relative agli aspetti tecnici dell'aviazione commerciale sono poco diffuse e la loro scarsità ha contribuito a rendere superficiale il dibattito. Misurare la produttività di un pilota con le sole ore di volo è un metodo parziale che troverebbe equivalenza se, ad esempio, la produttività di un professore universitario venisse misurata con le sole ore di lezione frontale in aula. Con questo metodo ne usciremmo ancora più malconci dei piloti. Purtroppo le competenze tecniche mi sembrano scarseggiare anche in ambito CAI (almeno a vedere dal piano industriale). Per quanto riguarda i ricavi per passeggero, quelli medi di AZ sono più bassi dei concorrenti quasi esclusivamente per effetto della minore lunghezza media del viaggio. Per eliminare questo effetto noi li rapportiamo ai km percorsi in media dai pax: nel 2007 ad esempio AZ ha incassato 9,2 cent di euro per passeggero km, esattamente lo stesso valore di Air France. Alitalia ha inoltre sostenuto costi, questa volta per posto km offerto, pari a 7,3 centesimi di euro, più elevati ma di pochissimo rispetto ai 6,9 centesimi di Air France.
Considerato il peso molto maggiore del lungo raggio nella produzione di Air France e i minori costi unitari che lo caratterizzano, si può ragionevolmente sostenere che in termini di costi unitari Alitalia sia persino più efficiente rispetto al vettore d’oltralpe (l'unica anomalia che ho riscontrato non è stata nelle spese per il personale ma nelle abnormi spese di marketing, le quali arrivano a circa il 50% delle spese per il personale).
Il problema di Alitalia deriva dal basso load factor: con un LF all'82%, i 6,9 centesimi di euro di costo per posto km offerto di Air France sono divenuti 8,4 se valutati in termini di posto km venduto, valore inferiore ai 9,2 centesimi di ricavo e che ha permesso consistenti profitti.
Nel caso di Alitalia, invece, i posti venduti sono stati solo il 74% del totale; pertanto i 7,3 centesimi di costo per posto km offerto sono divenuti 9,9 se valutati in termini di posto km venduto, valore che è risultato superiore ai 9,2 centesimi di ricavo ed è all’origine del consistente passivo della gestione industriale del 2007.
Ma anche il basso LF di AZ non appare anomalo: per le compagnie di bandiera esso è tipicamente basso sul breve raggio e alto sul lungo. Sui due distinti segmenti il load factor di Alitalia è stato nel 2007 allineato agli altri vettori di bandiera europei aderenti ad AEA (identico sul breve raggio e inferiore, ma di un solo punto, sul lungo) e il dato medio è risultato inferiore per Alitalia rispetto alle maggiori compagnie solo per effetto della predominanza del breve raggio nei voli complessivi realizzati.
In sostanza AZ registrava nel 2007 (solo) due grossi difetti: eccessive spese di commercializzazione in rapporto ai ricavi ed eccessivo sbilanciamento sul breve raggio. Purtroppo il piano CAI non esamina l'esistente e non evidenzia questi fattori, puntando a contenere i costi totali attraverso un drastico ridimensionamento dell'azienda e a contenere i costi unitari attraverso un colossale aumento delle produttività tecnica degli aerei (e del fattore lavoro) che mi appare del tutto irrealizzabile.

stef ha detto...

La ringrazio ancora per la precisione dei suoi dati e volevo cercare di far "parlare" commentanto le sue ottime conclusioni.
Come si evince dalle cifre c'è un'asimmetria tra costi sostenuti e prodotto finale. E' come cercare di sparare ad una farfalla con un cannone.
Il punto debole di Alitalia, a mio avviso, è la discrasia tra il modello aziendale e il modello di business. Mi spiego. Alitalia, facendo seguito ai dati che ha estrapolato, ha un incasso in linea con quello che dovrebbe essere un competitor omogeneo eppure "più vola più perde". Il problema è che il mercato nel quale AZ colloca il suo prodotto non è quello del competitor che si vuole prendere a confronto. AZ ha un problemo di nanismo nel segmento di business nel quale vorrebbe essere presente. Infatti il LF se preso per tipologia di voli è sostanzialmente in linea con quello degli altri ma una volta riaggregato il dato AZ paga pesantemente la sua prevalenza nel settore medio-corto raggio. Purtroppo l'azienda ha il suo core business nel segmento dove i costi sono maggiori e i ricavi più bassi. Nel confronto con il lungo raggio il medio accusa una serie di inefficienze legate a vari fattori che si traducono in un abbassamento dei margini: produttività dei fattori uomo e macchina , e quindi costo orario, limitata da fattori esogeni (traffico, tempi di transito), incidenza dei costi (tasse di decollo e atterraggio per ogni singola tratta, spese per servizi a terra per ogni singola tratta). Ad aggravare il bilancio dal punto di vista dei ricavi c'è sempre la pressione dei vettori lowcost. La loro forza è proprio la debolezza di Alitalia. La compagnia "di bandiera" ha una struttura elefantiaca al confronto perchè nata e cresciuta per operare in un altro mercato. Senza voler accusare il personale di terra c'è quindi da fare un'osservazione. A cosa servono migliaia di persone per un servizio che in altre compagnie viene fornito da un numero largamente inferiore di persone. Purtroppo il paragone aziendale da fare è con i vettori lowcost giacchè è quello l'ambito nel quale si svolge la maggior parte dell'attività di AZ.

Sono quindi d'accordo che la problematica industriale non si risolve solo facendo aumentare la produttività del fattore lavoro (anche se AZ non pagasse gli stipendi chiuderebbe la maggior parte dei bilanci in rosso). E la scelta impossibile di aumentare quella tecnica non è attuabile (se non l'ha fatto ryan non si può o non è conveniente farlo).

Quindi le vie di fuga possono in teoria essere due a questo punto. Il riallineamento deve essere in un senso o nell'altro.
O Alitalia decide che da grande vuole fare il global carrier e quindi sposta il suo modello di business sui voli a lunga percorrenza; oppure riallinea la sua struttura produttiva per renderla consona al mercato in cui attualmente opera.
Ovviamente il terreno perso in questi anni è difficilmente recuperabile anche perchè richiede un ottimo know how, una prospettiva di lungo termine e ingenti investimenti.
Per questo l'unico modo di far tornare i conti è quello di aggrapparsi ad un player di livello mondiale in modo da condividere costi e ricavi, rientrando, seppur da ospiti, in un mercato dove Alitalia giocava, una volta, un ruolo di primo piano.
Immagino che le scelte di CAI di avere un network stellare (ndr a forma di stella) possa consentire proprio questo. Anzichè farci sottrarre i passeggeri da sotto il naso dalle altre compagnie che li portano nei loro hub, adesso da Torino da Venezia glieli portiamo noi con un volo CAI per le destinazioni di lungo raggio che non vengono volate dalla compagnia stessa. Almeno così una fettina del biglietto del volo verso la destinazione finale rimane nelle "nostre" tasche.
Alla faccia dell'italianità sia chiaro che non sono loro che ci conquistano ma siamo noi che ci arrendiamo....così è più vantaggioso.

Non da ultimo le "eccessive spese di commercializzazione" (finanziamenti...) sono da imputare ad un management e un'azionista che non ha saputo (voluto) gestire in modo efficiente le risorse.

p.s. con un anno di Cimoli si pagavano 3 Spinetta che in un lustro ha fatto di una ex-alitalia la compagnia più grande al mondo.

Amareggiato le porgo i miei saluti

stefano

ugo arrigo ha detto...

Caro Stefano, mi trovo molto d'accordo con le sue argomentazioni. Due sole aggiunte: il piano CAI è sicuramente arrendevole (e di questo credo che tutti i pochi esperti del settore si siano resi conto) ma temo che sia anche perdente. Si rinuncia definitivamente a giocare un ruolo nell'intercontinentale (credo che la ragione sia esclusivamente dovuta agli ingenti investimenti che sarebbero necessari) e si pensa di poter gestire, nel ruolo di vettore regionale, l'alimentazione dell'intercontinentale di un partner straniero forte. La mia ipotesi è che preferirà farlo in prima persona, almeno a partire dagli aeroporti maggiori che probabilmente già ora serve. Infatti, in maniera coerente con lo specifico modello di business, i vettori regionali collegano in genere i soli aeroporti secondari di un paese con l'hub del global carrier.
Chiudo con un'osservazione che a nessuno sembra sinora essere venuta in mente. Al partner straniero il ruolo di azionista di minoranza, che non implica responsabilità gestionali, va benissimo e rende conveniente non indirizzare i partner italiani verso una strategia vincente. Quanto prima sbagliano, tanto più sbagliano, tanto prima acquisisce il controllo dell'azienda. Se invece li aiuta a non fare cavolate gli amici di CAI allungano il periodo in cui conservano il controllo. Per questa ragione prevedo una cessione del controllo non oltre un triennio.
Mi piacerebbe continuare più direttamente il confronto con lei: se mi può inviare un mail al mio indirizzo di ateneo (ugo.arrigo@unimib.it) le darei il mio numero di telefono e le invierei un mio lavoro su AZ del 2005 che poteva essere utile per indirizzare la strategia degli ultimi governi su rotte più affidabili. Cordiali saluti, U.A.