domenica 28 settembre 2008

Alitalia: la sconfitta del mercato

La vendita di Alitalia sta arrivando al suo epilogo; la preoccupazione per il mercato del trasporto aereo italiano non è indifferente poiché dal Piano Fenice risulta chiaro che i prezzi dei voli domestici aumenterà a causa della restrizione della concorrenza.

La privatizzazione Alitalia è stato l’ennesima dimostrazione che in Italia il mercato è lasciato in disparte. La vendita, cominciata a fine del 2006, si è conclusa peggio di quanto fosse cominciata; nel frattempo la compagnia di bandiera ha bruciato circa 1,4 miliardi di euro (considerando anche il terzo trimestre 2008) e ha continuato a perdere quote di mercato, arrivando ad avere in luglio di questo anno solamente il 17 per cento del mercato italiano.

I modelli tedesco o francese che tanto sono ammirati forse non sono conosciuti a fondo; in Francia, dove Air France è quasi monopolista, il mercato si è sviluppato molto meno che in Italia, tanto che nel nostro paese, il numero di passeggeri intra-Unione Europea ha superato quello dei cugini Transalpini. Sarebbe stato meglio prendere ad esempio il mercato inglese, nel quale viaggiano ogni anno l’80 per cento di passeggeri in più rispetto alla Francia e dove British Airways è un operatore forte, ma non dominante.

La CAI, Compagnia Aerea Italiana, sarà un piccolo operatore europeo con circa il 3 per cento dei passeggeri trasportati in Europa e il 25 per cento del mercato italiano. La fusione tra AirOne ed Alitalia provocherà tuttavia una concentrazione sul mercato domestico, in particolar modo sulla tratta Milano Linate – Roma Fiumicino, dove la CAI avrà il 95 per cento degli slot disponibili. La concorrenza verrà limitata e il decreto legge del Governo dello scorso agosto sospende la normativa antitrust che avrebbe impedito un simile monopolio. I viaggiatori avranno dunque una scelta limitata.
Alitalia ha accumulato perdite nette per 3,5 miliardi di euro dal 2003 ad oggi, in gran parte a carico dei contribuenti e la vendita alla nuova compagnia aerea italiana costerà altri 2 o 3 miliardi di euro; con la stessa cifra si sarebbe potuta costruire l’alta velocità tra Milano e Firenze a costi europei.

La trattativa privata rischia di penalizzare il contribuente e i creditori di Alitalia. La valutazione del valore degli asset acquistati dalla CAI non verrà definito dalle forze del mercato, ma da una decisione presa dal commissario straordinario di Alitalia. Il valore degli slot posseduti dall’ex vettore di bandiera è di almeno mezzo miliardo di euro e si auspica che venga fatta un’offerta che dia il giusto valore. Attualmente, le indiscrezioni giornalistiche sembrano invece confermare un’offerta che oscilla tra i 350 e i 450 milioni di euro.

Un fallimento della compagnia avrebbe avuto un impatto limitato sul mercato del trasporto aereo italiano, dato che ormai l’83 per cento dei passeggeri è trasportato da vettori concorrenti di Alitalia; le rotte redditizie sarebbero effettuate da altre compagnie, mentre quelle non redditizie sono già garantite dagli oneri di servizio pubblico che agiscono a livello Comunitario.

Il Piano Prato, dal nome dell’ex amministratore delegato di Alitalia, tanto criticato nei mesi scorsi prevedeva una diminuzione delle rotte intercontinentali e la scelta di un unico “hub”. Il piano Fenice, tanto supportato politicamente e dai sindacati Confederali, riduce di almeno il 10 per cento il numero delle rotte verso le destinazioni intercontinentali rispetto al Piano Prato, sia nel caso arrivi AirFrance che Lufthansa come partner internazionale.

Per quanto riguarda il partner internazionale, che quasi certamente tra 5 anni diventerà azionista di maggioranza della nuova compagnia italiana perché il mercato va verso una concentrazione, è necessario per la CAI.
A questo punto non deve essere più la politica a fare scelte industriali, ma deve essere lasciato spazio ai nuovi imprenditori.

Il Governo dovrebbe invece agire invece per liberalizzare il trasporto aereo intercontinentale rivedendo gli accordi bilaterali affinché il mercato possa continuare il proprio sviluppo. La soluzione tutta italiana non solo costa miliardi di euro ai contribuenti, ma riduce anche gli spazi per la concorrenza.

Il mercato trova sempre meno spazio ed tipico dell’Italia che una scelta coraggiosa quale il fallimento non sia stata nemmeno presa in considerazione.

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