Sul Financial Times, Anders Aslund affronta il tema dei rapporti tra l'Europa e la Russia con una serie di argomenti che trovo molto criticabili - oltre che velleitari. La sua proposta è, nella pratica, quella di una "guerra freschina" giocata tutta su una interpretazione piuttosto azzardata delle norme antitrust, e una certa sopravvalutazione della forza (e dell'utilità) dell'Europa. In verità, Aslund parte da una constatazione di grande buon senso: le sanzioni economiche non sono la via giusta, sia per la loro dubbia efficacia, sia perché rischiano di rafforzare le oligarchie russe al potere. Lo studioso suggerisce quindi una strategia più articolata, il cui perno è però l'utilizzo della competition policy contro Gazprom. Non è una richiesta del tutto originale: negli Stati Uniti, la House ha approvato una proposta democratica del tutto simile in chiave anti-Opec, e anche il nostro ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, ha invocato gli articoli 81-82 del Trattato Ue, ora contro l'Opec, ora contro gli speculatori (qualunque cosa intenda). Rispetto a queste proposte, che sono davvero naif e populiste, quella di Aslund è più elaborata; ma ugualmente poco convincente. Il quadro generale è quello descritto da Massimo Nicolazzi, che ho commentato nel mio post di ieri; mi limiterò, quindi, alle tesi di Aslund. Ne considererò solo due, in quanto le altre tre esulano dalle questioni di politica energetica in senso stretto.
In primis, egli chiede che l'Unione europea sviluppi una politica energetica comune, e che imponga le regole della Carta dell'energia - in particolare su trasparenza, protezione degli investimenti e non discriminazione nell'accesso ai gasdotti - alla Russia. Ci sono molte ragioni per cui l'Europa avrebbe bisogno di una politica energetica comune - la prima che mi viene in mente è che gli investimenti energetici, in un mercato integrato o in via di integrazione, hanno dimensione transazionale; la seconda, più opportunistica, è che almeno Bruxelles la smetterebbe di fare politica energetica per via ambientale o antitrust. E ci sono una marea di buoni argomenti a favore della Carta dell'energia (di cui si è ampiamente occupato Silvio Boccalatte nel nostro libro Sicurezza energetica). Ma un trattato internazionale, normalmente, non lo si può imporre - non se non si è prima vinta una guerra. Occorre creare le condizioni perché la sua ratifica divenga conveniente da entrambe le parti: oggi, semplicemente, quelle condizioni non ci sono, e parte della spiegazione è che le stesse regole della Carta non sono pienamente applicate neppure in alcuni paesi chiave dell'Ue (ogni riferimento a fatti e persone realmente esistenti è puramente casuale). Sul filo del paradosso si gioca, invece, la successiva affermazione di Aslund: "un'Europa unita ha un potere contrattuale poiché tutte le pipeline al di fuori dell'ex Unione sovietica si dirigono verso l'Europa". Vero. Se non fosse che (a) nel breve termine l'Europa non può rinunciare a comprare gas dalla Russia, così come la Russia non può rinunciare a vendere gas all'Europa e (b) il gas che transita per le pipeline non viene contrattato o acquistato dall'Ue o dagli Stati membri, ma dalle compagnie operanti sul mercato europeo (molte delle quali controllate dai rispettivi governi, ok, ma comunque partecipate dai privati e attive sui listini europei). Non si può avocare all'Unione il potere di fare contratti, svuotando di uno degli elementi essenziali il mercato europeo.
La seconda proposta di Aslund è altrettanto incredibile: "la Commissione europea dovrebbe costringere Gazprom a separare produzione e trasporto e rompere il suo monopolio. Perché la Commissione persegue casi antitrust contro Microsoft ma non contro Gazprom?". La risposta più semplice è: (a) perché è politicamente molto più pagante flettere i muscoli contro un'impresa americana (cioè contro gli Usa, simbolicamente) che contro una russa e (b) perché, date le condizioni dei rispettivi mercati, è probabile che Microsoft (o chi per lei) obbedisca all'Ue, mentre è improbabile che lo faccia Gazprom. Supponiamo, comunque, che il Commissario europeo alla Competizione, Neelie Kroes, apra un procedimento contro Gazprom, lo segua, e condanni il gruppo russo. Che succede, se il monopolista poi non obbedisce? La risposta, la lascio ad Aslund e a chi la pensa come lui, perché tutte le risposte che vengono in mente a me mi fanno ridere. Come ridere mi fa la seguente affermazione di Aslund: Gazprom "dovrebbe riorientare la sua rete di gasdotti al di fuori dei confini russi, abbandonare le discriminazioni di prezzo e terminare la costruzione dei gasdotti North Stream e South Stream". Ma siamo matti? Ok, per la Russia sarebbe un bel guaio, ma nessuno si chiede cosa vorrebbe dire per l'Europa? E, a prescindere da questo, Aslund sembra trascurare che i due nuovi gasdotti vedono la partecipazione attiva di imprese occidentali (tra cui Eni ed E.On) che hanno firmato contratti, investito montagne di denaro, eccetera. Anche io, se potessi scegliere, direi che Nabucco è meglio di South Stream: ma alla fine ciò che conta sono le dure ed eque leggi dell'economia, e sarebbe meglio ascoltare quelle piuttosto che distillare voci dall'aria.
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domenica 7 settembre 2008
L'Europa, la Russia e l'antitrust
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