Su La Stampa del 3 settembre ("Il conflitto d'interessi vola Alitalia"), i redattori dell'eccellente noiseFromAmerika denunciavano il conflitto d'interessi che investirebbe Emma Marcegaglia e Roberto Colaninno nella vicenda del salvataggio della compagnia di bandiera. Contrariamente alla norma, i loro argomenti non mi persuadono. Proverò a spiegare perché.
La situazione della presidente di Confindustria mi pare piuttosto chiara. Perché si possa parlare di conflitto d'interessi, non bastano gli interessi: serve, appunto, un conflitto. Nel caso della signora Marcegaglia, non è ben chiaro dove il conflitto risieda. Che i suoi personali interessi confliggano con quelli generali dell'associazione da lei rappresentata è tutt'altro che dimostrato: e soprattutto, non può essere valutato da altri che dai membri di Confindustria. Ancor meno sostenibile è l'imputazione di un conflitto con interessi pubblici. Sebbene i redattori di nFA affermino che «in buona sostanza, la presidenza di Confindustria è una importante carica pubblica», Confindustria è e rimane un ente privato che persegue fini privati. Più probabilmente, l'allusione è all'influenza che l'associazione degl'industriali (e le altre altre "parti sociali") esercitano - nel nostro Paese - sulla messa a punto degl'indirizzi di politica economica del governo: ma è con tale perversione del gioco democratico che bisogna fare i conti, non con le (legittime) aspirazioni del presidente di turno.
Peraltro, leggendo l'articolo, si sarebbe indotti a credere che sino a ieri la Marcegaglia abbia fatto la missionaria in Zaire, e non la dirigente di un grande gruppo siderurgico. A meno che la direzione di Confindustria non venga affidata ad una showgirl, non può sorprendere che il presidente degli imprenditori sia portatore d'interessi... imprenditoriali. In tal senso, non è facile capire come la partecipazione in una compagnia aerea differisca dall'impegno nell'acciaio, o in un'azienda dolciaria (o, per dire, dal coinvolgimento in un'impresa automobilistica). Certo, la sospensione ad hoc della normativa antitrust è una considerevole peculiarità del caso Alitalia, ma non sembra affatto che essa si possa addebitare all'opera della signora Marcegaglia.
Quanto a Roberto e Matteo Colaninno, è in primo luogo difficile sostenere che il ministro ombra per lo Sviluppo Economico abbia svolto alcun intervento attivo nella vicenda Alitalia. La circostanza è, peraltro, trascurabile. Come gli economisti di nFA riconoscono, non ci dovremmo (pre)occupare del presunto conflitto d'interessi se 1) Alitalia operasse in condizioni di libero mercato e 2) la vendita si fosse ispirata a criteri di mercato: se cioè, aggiungo io, si fosse ceduta l'azienda al miglior offerente senza porre alcuna condizione, invece di far ricorso al patriottismo (disinteressato?) di alcuni "capitani coraggiosi". Ma, ancora una volta, allora, siamo al cospetto di scelte governative criticabili, più che di un conflitto d'interessi da sanare.
Come sottolineano (da quarant'anni) la teoria della Public Choice e (da ben prima) il comune buon senso, gli uomini non si spogliano dei propri interessi per il fatto stesso di assurgere a cariche pubbliche. La natura dell'uomo è la medesima, tanto che s'incarni in un salumiere od in un assessore comunale. Ma la via maestra per porre freno alle relazioni incestuose tra politica ed attori economici non consiste nell'evirare quest'ultimi, quanto nel ridurre l'incidenza delle tentazioni. Piuttosto che richiamare ad un improbabile galateo del potere - della cui legittimità si può dubitare in primo luogo - è dunque opportuno intervenire sul contesto istituzionale: restringendo considerevolmente il perimetro del politico e restituendo al mercato ciò che è proprio del mercato.
lunedì 8 settembre 2008
Conflitti ad alta quota?
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3 commenti:
Grazie delle critiche, ma sono purtroppo sbagliate. Come abbiamo spiegato ieri sia a Libero Mercato che al Foglio (che usano piu' o meno gli argomenti apparsi qua) i conflitti ci sono, eccome. Puoi trovare le ragioni qui:
http://www.noisefromamerika.org/index.php/articles/Alitalia_e_il_conflitto_d%27interessi%3A_risposte_a_Libero_Mercato%2C_a_Il_Foglio_e_alla_Marcegaglia#body
Argomentare che quello di Colaninno e' un conflitto piccolo perche' il governo ombra non conta nulla e' risibile: il non aver fatto nulla del governo ombra potrebbe essere, per esempio, l'effetto di tale conflitto. Lo stesso vale per i soci Confindustria: il fatto che stia a loro decidere se o meno esiste il conflitto con la loro presidente non implica che gli osservatori esterni non dovrebbero menzionarne l'esistenza. La quale e' fuor di dubbio: Marcegaglia (azionista CAI) vuole monopolio e prezzi alti del trasporto aereo interno, Marcegaglia (presidente Confindustria) dovrebbe volere, nell'interesse dei suoi associati, l'opposto!
Infine, un paio di dettagli "accademici". Public Choice insegna cose interessanti, ma per fortuna non passa tempo a discettare troppo sulla natura umana. Insegna invece, ed appunto, che in questi casi i conflitti d'interesse sono "pervasive" e vanno osservati, oltre che controllati. La nostra analisi altro non e' che un'applicazione di PubCh theory, nella quale ci dilettiamo, al caso Alitalia/CAI.
Infine, le scelte governative criticabili fondano e creano il conflitto d'interesse da sanare, non v'e' una cosa senza l'altra. Non sorprendente, peraltro, vista la trave dei conflitti d'interesse che risiede allegra nell'occhio del l'attuale presidente del consiglio.
Anche a noi farebbe piacere si restituisse al mercato cio' che e' del mercato. L'esatto opposto di quanto avviene con Alitalia/CAI.
Michele Boldrin, della redazione di nFA.
Non riesco a capire in che senso la pochezza del governo ombra potrebbe essere un effetto del conflitto di interessi di Colaninno. L'inesistenza del governo ombra pre-esiste l'affare CAI, e ahimé ha tante ragioni, che vanno rintracciate sostanzialmente nella storia recente di una sinistra italiana sbandata e priva di identità. Matteo Colaninno è un bravissimo ragazzo, ma è il genere di erede sbattuto ad occuparsi di affari confindustriali prima e poi di politica. Non esattamente il figlio più scrocco del sior padron.
L'imbarazzo della sinistra, poi, attiene assai più Colaninno padre che figlio.
Quanto al conflitto degli imprenditori, la posizione di buona parte degli imprenditori italiani, per come perlomeno sono rappresentati dalle rispettive associazioni di categoria, sull'affare Alitalia è stata sostanzialmente "salvate Malpensa".
Ora, fior di analisi apparse per l'Ibl ed altri hanno dimostrato come il salvataggio di Malpensa sostanzialmente fosse incompatibile con una gestione razionale della compagnia - e / o con un mantenimento delle corrette condizioni di concorrenza. Fra l'altro, CAI sostanzialmente dismette Alitalia Cargo, per cui il conflitto cui fa riferimento Boldrin si riduce agli interessi degli imprenditori in quanto passeggeri, che sono più difficili da isolare da quelli dei passeggeri non-imprenditori.
A me sembra che Marcegaglia abbia fatto una cosa assai inappropriata, e soprattutto sia stata estremamente stupida a dire che la sua quota era "simbolica" e acquisita "simbolicamente" "a nome dell'industria italiana". Detto questo, la valutazione del conflitto d'interessi richiederebbe una conoscenza ben più appropriata della mia, di che cosa fa il gruppo Marcegaglia (mentre è abbastanza lampante per Ligresti etc).
Ringrazio Michele per la visita e per le - ahinoi imprecise - precisazioni.
Sulla Marcegaglia, certamente potete dire la vostra, ma il silenzio di Confindustria potrebbe essere un indizio del fatto che non esistano conflitti - a meno che non pensiate di conoscere gli interessi degli imprenditori meglio di loro. Le osservazioni del signor Raimondi in propositomi sembrano calzanti.
Ma poi, ci rendiamo conto delle conseguenze del vostro ragionamento? Sorvoliamo sugli esempi macroscopici. Un presidente di Confindustria pasticciere potrebbe imporre dazi sui croissant, mettendo a rischio la colazione di tutti i confindustriali. Allora chi ci mettiamo alla testa di Confindustria, una monaca di clausura? Peraltro, questa era solo la parte meno importante delle vostre considerazioni sulla Marcegaglia. Sulla presidenza di Confinfustria come carica pubblica ho già detto.
Su Colaninno, il mio argomento non era tanto che il governo ombra non conti nulla, ma piuttosto che Matteo non ha esercitato alcun ruolo nella vendita. Diverso sarebbe se, per dire, Piersilvio "Dudi" Berlusconi avesse preso parte alla cordata.
Ma anche in quel caso, qual è il vero problema? Vogliamo un'Italia in cui i parenti sino al quarto grado di una qualsiasi carica pubblica debbano darsi all'eremitaggio, o un'Italia in cui sia possibile fare impresa o aprire un negozio senza alcuna commistione con la politica?
Se Alierta viene a Roma ed incontra nell'ordine Letta, Tremonti, Scajola, Romani e Calabrò, la colpa è di Alierta o di quei signori che a) lo ricevono e b) con il loro contegno hanno reso quegli incontri necessari?
A me pare che semplicemente ciascuno viva nel mondo in cui si trova. Certo, molti imprenditore approfittano in modo turpe di una situazione che alimentano. Ma chiedere loro di farsi carico del problema è come guardare il dito che indica la luna.
Sui dettagli accademici: affermare che l'insegnamento fondamentale della Public Choice è la consapevolezza che gli esseri umani non si svestono di una natura per indossarne un'altra nel passaggio dal mercato all'agone politico, mi sembra una ricostruzione fedele quanto banale.
Bisognerebbe chiedere a Buchanan o Tullock cosa ne pensano, ma sono incline a pensare che non dispiacerebbe loro.
Quanto poi al conflitto d'interessi che induce anche i più valenti economisti a misconoscere la natura umana come argomento centrale dei propri studi, gli amici di nFA potranno forse prima o poi aiutarci a comprenderne le ragioni.
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