La Compagnia Aerea Italiana è fuggita da Alitalia e dalle sue nove sigle sindacali. Non era un esito impossibile da prevedere, ma le possibilità che si potesse avverare non erano troppo elevate.
Bisogna tuttavia ricordare che in Italia nulla è definivo e quindi forse è ancora giusto utilizzare il condizionale.
Quali sarebbero dunque le soluzioni alternative?
Il commissario straordinario di Alitalia Augusto Fantozzi deve fare il possibile affinché l’operatività dell’azienda sia perpetuata; questo non può non avvenire che tramite con la messa in cassa integrazione di almeno 3 mila dipendenti e con la vendita immediata di asset non strategici dell’azienda. L’azione avverrebbe comunque con notevole ritardo in quanto il piano dell’ex amministratore delegato Maurizio Prato, presentato il 30 agosto del 2007 prevdeva a partire da aprile 2008 una diminuzione di circa 40 aerei dalla flotta di Alitalia.
Il management della compagnia di bandiera, totalmente inefficace, non solo non ha provveduto a tagliare i costi del personale, ma non sembra aver venduto gli aerei inutilizzati (non c’è certezza in quanto non è stato pubblicato il bilancio del secondo semestre 2008 della compagnia).
L’azionista di maggioranza, il Ministro dell’Economia, non sembra aver vigilato molto attentamente sull’operato degli amministratori delegati e del commissario.
La privatizzazione di Alitalia era necessaria tanto quanto il fallimento, anche se questo ultimo sarebbe dovuto avvenire almeno cinque anni fa quando ormai era chiaro che l’azienda non era in grado di competere su un mercato estremamente concorrenziale.
La vendita del vettore di bandiera ha mostrato pienamente l’incapacità dello Stato di agire come un imprenditore.
Il Governo Prodi nel dicembre del 2006 decise di privatizzare l’azienda imponendo tuttavia dei paletti nocivi per un’asta competitiva anche a causa delle ali più estremi della sua maggioranza. Falliti i tentativi di vendita, nell’autunno s’iniziò un nuovo processo che portò all’individuazione di due possibili acquirenti: Air France-KLM e AirOne. Tra le due cordate, la proposta francese era certamente migliore di quella abruzzese, ma i veti sindacali, in piena campagna elettorale, fecero scappare i francesi ad inizio aprile del corrente anno. Poco dopo si raggiunse l’apice della farsa: un “perfetto” prestito bipartisan che doveva permettere alla compagnia dodici mesi di sopravvivenza, che tuttavia si configurava come un chiaro aiuto di Stato fu immesso nelle “casse bucate” di Alitalia.
La terza fase di privatizzazione e la scelta di Intesa San Paolo come advisor iniziò così nel peggiore dei modi e si concluse con il commissariamento italiano, con un decreto legge che limita la concorrenza e con una cordata italiana debole che non ha voluto comunque “affondare” con i sindacati.
Il processo di vendita non ha portato ad alcuna soluzione, ma nel frattempo l’azienda ha bruciato circa 1,1 miliardi di euro.
Il fallimento è vicino, ma il commissario ha i mezzi per evitarlo. Il principale strumento non è la cassa, che presumibilmente è vicina ai 50 milioni di euro, quanto gli asset della compagnia che possono essere venduti.
È necessario che entrino “gli stranieri” tanto osteggiati dai politici e dai sindacati; essi presumibilmente acquisteranno i pezzi di valore di Alitalia.
Si spera che la procedura di vendita del Commissario sia più trasparente e che tuteli maggiormente i creditori della compagnia e i contribuenti italiani rispetto a come è stata condotta fino ad ora. La valutazione da parte di CAI, che investiva solo un miliardo di euro, di Alitalia si aggirava intorno ai 400 milioni di euro; questa cifra tuttavia non arrivava nemmeno al valore degli slot della compagnia di bandiera (il 26 dicembre 2007 Alitalia ha venduto tre coppie di slot a Londra Heathrow per 54 milioni di euro).
Il “piano B” non è escludibile e vedrebbe alcuni “capitani coraggiosi” con un forte partner straniero.
Il fallimento molto probabilmente costerà meno della soluzione CAI. Gli asset verranno valutati maggiormente; il mercato aereo italiano è cresciuto di più del 100 per cento negli ultimi dieci anni ed Alitalia vale circa il 17 per cento della market share e i dipendenti in esubero dell’ex compagnia di bandiera verranno riassorbiti dal mercato.
AirOne, pur essendo una compagnia in difficoltà, potrà trarre benefici dal probabile ridimensionamento di Alitalia e tutti i concorrenti troveranno più spazi per svilupparsi.
Alitalia ha bruciato 3,5 miliardi di euro negli ultimi dieci anni, di cui 1,1 miliardi negli ultimi 22 mesi; la creazione della BadCo sarebbe costata tra i 2 e i 3 miliardi di Euro.
Per salvare Alitalia inoltre si è introdotta la possibilità di restringere la concorrenza nel mercato domestico e non si è fatto nulla per liberalizzare le rotte intercontinentali.
Un’ottima “partecipazione” Statale…
Bisogna tuttavia ricordare che in Italia nulla è definivo e quindi forse è ancora giusto utilizzare il condizionale.
Quali sarebbero dunque le soluzioni alternative?
Il commissario straordinario di Alitalia Augusto Fantozzi deve fare il possibile affinché l’operatività dell’azienda sia perpetuata; questo non può non avvenire che tramite con la messa in cassa integrazione di almeno 3 mila dipendenti e con la vendita immediata di asset non strategici dell’azienda. L’azione avverrebbe comunque con notevole ritardo in quanto il piano dell’ex amministratore delegato Maurizio Prato, presentato il 30 agosto del 2007 prevdeva a partire da aprile 2008 una diminuzione di circa 40 aerei dalla flotta di Alitalia.
Il management della compagnia di bandiera, totalmente inefficace, non solo non ha provveduto a tagliare i costi del personale, ma non sembra aver venduto gli aerei inutilizzati (non c’è certezza in quanto non è stato pubblicato il bilancio del secondo semestre 2008 della compagnia).
L’azionista di maggioranza, il Ministro dell’Economia, non sembra aver vigilato molto attentamente sull’operato degli amministratori delegati e del commissario.
La privatizzazione di Alitalia era necessaria tanto quanto il fallimento, anche se questo ultimo sarebbe dovuto avvenire almeno cinque anni fa quando ormai era chiaro che l’azienda non era in grado di competere su un mercato estremamente concorrenziale.
La vendita del vettore di bandiera ha mostrato pienamente l’incapacità dello Stato di agire come un imprenditore.
Il Governo Prodi nel dicembre del 2006 decise di privatizzare l’azienda imponendo tuttavia dei paletti nocivi per un’asta competitiva anche a causa delle ali più estremi della sua maggioranza. Falliti i tentativi di vendita, nell’autunno s’iniziò un nuovo processo che portò all’individuazione di due possibili acquirenti: Air France-KLM e AirOne. Tra le due cordate, la proposta francese era certamente migliore di quella abruzzese, ma i veti sindacali, in piena campagna elettorale, fecero scappare i francesi ad inizio aprile del corrente anno. Poco dopo si raggiunse l’apice della farsa: un “perfetto” prestito bipartisan che doveva permettere alla compagnia dodici mesi di sopravvivenza, che tuttavia si configurava come un chiaro aiuto di Stato fu immesso nelle “casse bucate” di Alitalia.
La terza fase di privatizzazione e la scelta di Intesa San Paolo come advisor iniziò così nel peggiore dei modi e si concluse con il commissariamento italiano, con un decreto legge che limita la concorrenza e con una cordata italiana debole che non ha voluto comunque “affondare” con i sindacati.
Il processo di vendita non ha portato ad alcuna soluzione, ma nel frattempo l’azienda ha bruciato circa 1,1 miliardi di euro.
Il fallimento è vicino, ma il commissario ha i mezzi per evitarlo. Il principale strumento non è la cassa, che presumibilmente è vicina ai 50 milioni di euro, quanto gli asset della compagnia che possono essere venduti.
È necessario che entrino “gli stranieri” tanto osteggiati dai politici e dai sindacati; essi presumibilmente acquisteranno i pezzi di valore di Alitalia.
Si spera che la procedura di vendita del Commissario sia più trasparente e che tuteli maggiormente i creditori della compagnia e i contribuenti italiani rispetto a come è stata condotta fino ad ora. La valutazione da parte di CAI, che investiva solo un miliardo di euro, di Alitalia si aggirava intorno ai 400 milioni di euro; questa cifra tuttavia non arrivava nemmeno al valore degli slot della compagnia di bandiera (il 26 dicembre 2007 Alitalia ha venduto tre coppie di slot a Londra Heathrow per 54 milioni di euro).
Il “piano B” non è escludibile e vedrebbe alcuni “capitani coraggiosi” con un forte partner straniero.
Il fallimento molto probabilmente costerà meno della soluzione CAI. Gli asset verranno valutati maggiormente; il mercato aereo italiano è cresciuto di più del 100 per cento negli ultimi dieci anni ed Alitalia vale circa il 17 per cento della market share e i dipendenti in esubero dell’ex compagnia di bandiera verranno riassorbiti dal mercato.
AirOne, pur essendo una compagnia in difficoltà, potrà trarre benefici dal probabile ridimensionamento di Alitalia e tutti i concorrenti troveranno più spazi per svilupparsi.
Alitalia ha bruciato 3,5 miliardi di euro negli ultimi dieci anni, di cui 1,1 miliardi negli ultimi 22 mesi; la creazione della BadCo sarebbe costata tra i 2 e i 3 miliardi di Euro.
Per salvare Alitalia inoltre si è introdotta la possibilità di restringere la concorrenza nel mercato domestico e non si è fatto nulla per liberalizzare le rotte intercontinentali.
Un’ottima “partecipazione” Statale…
1 commento:
Si, probabilmente lo e
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